Fabio Severo e Alessandro Imbriaco (11)
Dalla serie La città dei fiori
© Fabio Severo e Alessandro Imbriaco

Fabio Severo e Alessandro Imbriaco (agenzia contrasto) sono i due creatori di Hippolyte Bayard (attualmente mantenuto solo da Fabio Severo), un ottimo blog di fotografia artistica contemporanea, cui è dedicato l’articolo una mappa nel regno dei barbari.

Oltre a scrivere di fotografia Fabio Severo e Alessandro Imbriaco hanno lavorato insieme su di un progetto fotografico ad ampio respiro, dedicato all’immaginario collettivo italiano veicolato dalla televisione, inteso come un insieme di micro-mondi che diventano icone, luoghi che si crede di conoscere senza esserci mai stati. Il potere della televisione di creare luoghi della mente a uso del telespettatore, surrogati di conoscenza (e di emozioni), che danno l’illusione di un rapporto reale con le cose di cui parlano, viene esplorato nelle fotografie dei luoghi di celebri delitti recenti, del paese natale di Padre Pio o del festival di San Remo.

In questa intervista Fabio Severo ci parla del suo lavoro con Alessandro Imbriaco e della sua esperienza di blogger.

 

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Dalla serie La città dei fiori
© Fabio Severo e Alessandro Imbriaco

Fabiano Busdraghi: Qual’è la tua storia di fotografo? Come ti sei avvicinato alla fotografia?

Fabio Severo: Passione di bambino, un papà con macchine fotografiche, camera oscura e tanti libri, grandi mostre di grandi autori, primi lavoretti per giornali, poi la camera oscura come lavoro, poi i primi veri progetti personali, un percorso piuttosto tipico. Poi in realtà nella vita “adulta” con la fotografia ho avuto un rapporto abbastanza altalenante, che si è in qualche modo ricompattato da quando è nato Hippolyte Bayard.

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Dalla serie La città dei fiori
© Fabio Severo e Alessandro Imbriaco

Fabiano Busdraghi: Che cosa rappresenta per te la fotografia?

Fabio Severo: Difficile rispondere a questa domanda, difficile anche considerarla come una singola domanda: diciamo sommariamente che la fotografia è da una parte un insieme di strumenti per produrre immagini (mettiamo un attimo da parte quanto il digitale possa aver aumentato le implicazioni di questa definizione in apparenza semplice) e dall’altra parte è un insieme di qualità che vengono considerate proprie di determinate immagini. Voglio dire che se certamente esistono le ‘fotografie’ come oggetti reali, altrettanto esiste un insieme di qualità di tali immagini che le porta a essere più o meno riconosciute come immagini ‘fotografiche’. E qui le tradizioni, gli stili, le modalità di fruizione entrano in gioco a determinare ciò che in un dato momento viene riconosciuto più di altro come prettamente ‘fotografico’. Io personalmente preferisco partire dal considerare la fotografia come un insieme di mezzi per produrre immagini, mi piace guardare le immagini pensandole semplicemente come l’opera di qualcuno, come cose ‘realizzate’, o create da una persona.

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Dalla serie La città dei fiori
© Fabio Severo e Alessandro Imbriaco

Fabiano Busdraghi: Puoi descrivere Crime Scenes, la serie di fotografie che hai realizzato insieme ad Alessandro Imbriaco?

Fabio Severo: Il lavoro è nato da una commissione che ci è stata proposta dal Corriere della Sera, avevano bisogno di immagini notturne realizzate nei luoghi della recente cronaca nera italiana, la cronaca nera di quei piccoli paesi di provincia che negli ultimi anni tanto spazio ha occupato nei media italiani. L’abbiamo presa come un’occasione per proseguire in una linea di lavoro che avevamo già aperto, ovvero lavorare sulla suggestione dei luoghi, sul carico di significato che precede l’esperienza di tali luoghi e come tale carico di significato pregresso possa influenzare la visione delle immagini di questi luoghi.

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Dalla serie Il villaggio di Cogne
© Fabio Severo e Alessandro Imbriaco

Fabiano Busdraghi: A volte mi piace giocare e immaginare che i luoghi trattengano qualche cosa del vissuto delle persone che vi transitano, come se i fatti emanassero un’essenza che impregna un luogo, come se una parte di questi rimanesse per sempre nei luoghi che ne sono stati testimoni. In realtà non ci credo, da bravo fisico e materialista ateo so perfettamente che non è vero. Ma mi piace tornare, anni dopo, nel posto in cui vissi un evento speciale. Mi piace tornare e cercare di scoprire se i muri, gli alberi e i marciapiedi hanno trattenuto qualche cosa. Credi che i luoghi dei delitti possano in qualche modo veramente trattenere i fatti accaduti?

Fabio Severo: In realtà il lavoro più che della natura dei luoghi parla dello sguardo che si poggia su di essi, parla dell’ambiguità delle immagini e del peso delle “aspettative” e dei discorsi pregressi che gravano sulle immagini. I luoghi non trattengono realmente, ma vengono investiti piuttosto da uno sguardo che mentre vede ricorda, da una sorta di atto di memoria. Come la maggior parte delle fotografie, del resto.

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Dalla serie Il villaggio di Cogne
© Fabio Severo e Alessandro Imbriaco
Fabio Severo e Alessandro Imbriaco (3)
Dalla serie Il villaggio di Cogne
© Fabio Severo e Alessandro Imbriaco

Fabiano Busdraghi: Fra le fotografie dei luoghi dei delitti molte sono state scattate a Cogne. Questa serie in realtà fa parte di un lavoro a più ampio respiro dedicato all’immaginario collettivo italiano, lavoro articolato in tre capitoli: Cogne, San Remo e San Giovanni Rotondo. Puoi parlarci di questo grande progetto?

Fabio Severo: Si tratta di una sorta di viaggio attraverso quei luoghi virtuali che popolano la cultura di massa italiana, luoghi che la maggior parte delle persone non ha mai visto ma di cui ha un’immagine apparentemente chiara e netta, quelle proposta e riproposta dai media negli anni. Ci è venuta la curiosità di vedere cosa sarebbe successo andando lì e cercando di rappresentare questi posti, toglierli dalla cornice televisiva, fare quel “passo indietro” che magari riesce a dare quella distanza di visione che permette di leggere i luoghi, piuttosto che semplicemente riceverli passivamente.

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Dalla serie Il villaggio di Cogne
© Fabio Severo e Alessandro Imbriaco

Fabiano Busdraghi: In questi lavori esplorate quindi il modo in cui questi insiemi di micro-mondi diventano icone, luoghi che si crede di conoscere senza esserci mai stati. Credete che questo approccio immaginario sia tipicamente italiano o è comune a tutti i paesi?

Fabio Severo: Difficile parlare di altri paesi, o al contrario di un’eventuale specificità italiana. Diciamo soltanto che senza dubbio in Italia c’è una forte propensione all’appiattimento di luoghi e persone su immagini simbolo, icone a cui si ritorna costantemente per descrivere o rappresentare qualcosa, contribuendo così ad un’immobilità di significato di questi luoghi e di queste persone.

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Dalla serie Il villaggio di Cogne
© Fabio Severo e Alessandro Imbriaco

Fabiano Busdraghi: Come realizzate le vostre fotografie dal punto di vista tecnico? Perché le vostre scelte hanno una particolare importanza sul risultato finale?

Fabio Severo: I lavori sono stati realizzati in pellicola di medio e grande formato. La scelta del supporto e degli apparecchi fotografici ha una duplice ragione: da una parte un certo tipo di qualità e ‘risoluzione’ necessarie al tipo di immagini realizzate, dall’altra parte la ricerca di una modalità di lavoro piuttosto “posata” (cavalletto, fase di inquadratura laboriosa, etc), funzionale al tipo di approccio visivo “distante” che cercavamo per raccontare questi micro-mondi.

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Dalla serie Crime Scenes
© Fabio Severo e Alessandro Imbriaco

Fabiano Busdraghi: Come dicevamo hai realizzato i lavori descritti in coppia con Alessandro Imbriaco. Che cosa significa per voi lavorare a due? Come ripartite i compiti? Vi influenzate reciprocamente oppure ognuno porta avanti indipendentemente un aspetto complementare della vostra ricerca?

Fabio Severo: Lavorare insieme per noi ha voluto dire realizzare effettivamente tutte le immagini insieme, abbiamo deciso di non dividerci i compiti e magari procedere in parallelo, ma piuttosto di decidere ogni inquadratura di comune accordo. La collaborazione porta a un approccio visivo necessariamente diverso da quello che si ha lavorando da soli, il processo che porta a realizzare o al contrario “abbandonare” un’immagine avviene secondo dinamiche differenti, sia nella fase di scatto che nell’editing successivo.

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Dalla serie Crime Scenes
© Fabio Severo e Alessandro Imbriaco

Fabiano Busdraghi: Dopo le domande dedicate al vostro lavoro approfitto per fare qualche chiacchiera fotografica, cominciando per un tema attualmente sulla bocca di tutti. L’economia mondiale sta attraversano un periodo particolarmente difficile, alcuni grandi giornali hanno licenziato la maggior parte dei loro fotoreporter, alcune grandi agenzie di stock sono fallite. Come stai attraversando questo periodo di crisi e recessione?

Fabio Severo: Faccio diversi lavori, di cui alcuni non direttamente collegati alla fotografia, ma sicuramente la crisi in fotografia è percepibile. Le redazioni sembrano essere molto caute nel comprare lavori, trovare finanziamenti per progetti di mostre e pubblicazioni appare molto complicato, insomma è una fase piuttosto difficile.

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Dalla serie Crime Scenes
© Fabio Severo e Alessandro Imbriaco
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Dalla serie Crime Scenes
© Fabio Severo e Alessandro Imbriaco

Fabiano Busdraghi: Come potrebbe venir ridisegnato il panorama della fotografia dalla tempesta in atto? Credi che gli effetti alla lunga possano esser positivi?

Fabio Severo: Come sensazione personale direi che potrebbe verificarsi un’ulteriore separazione tra le immagini di consumo e quelle che possiamo definire di fruizione “alta”, per capirci. Voglio dire che potrebbe anche succedere che una gran parte del mercato editoriale interpreti sempre di più la produzione di immagini come un lavoro a basso costo: si presume che la produzione delle immagini richieda un impegno relativo da parte del fotografo, si abbassano i compensi, si svaluta l’essenza del prodotto in sostanza. Ma dall’altra parte questa dinamica potrebbe portare a meglio distinguere un lavoro ‘di consumo’ da un autentico impegno progettuale (sia per il fotografo che per il committente o acquirente), insomma la distinzione tra i diversi prodotti, che spesso è mistificata, si presenterebbe come più netta. Ovviamente non sto parlando delle conseguenze da un punto di vista lavorativo, che sono altre e sarebbero (e forse già sono) drammatiche; mi chiedo solo se una tale separazione non possa portare a una migliore comprensione della forza espressiva delle immagini e del lavoro che c’è dietro. Ma questo riguarda solo il mercato editoriale, rispetto alle gallerie non saprei, sono mesi e mesi che si legge della contrazione del mercato dell’arte.

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Dalla serie Crime Scenes
© Fabio Severo e Alessandro Imbriaco

Fabiano Busdraghi: Quando torno in Italia sento spesso dire che la situazione fotografica è disastrosa. Che gli spazi espositivi si trovano solo grazie a raccomandazioni e nepotismo. Che la gente non ha nessuna cultura fotografica e dell’immagine. Che tutto è fermo e stantio. Mi chiedo spesso se alla fine la situazione è così disperata, oppure se l’erba del vicino sembra sempre più verde di quello che è in realtà. Secondo te qual’è la situazione della fotografia in Italia? I rumori di corridoio corrispondono al vero o si tratta soprattutto di stereotipi e lamentele?

Fabio Severo: Di nuovo, non pretendo di conoscere lo stato delle cose in modo pieno e esaustivo, ma ci sono comunque una serie di fattori che vanno tenuti in considerazione: in Italia la fotografia è poco studiata, è poco diffusa, è poco conosciuta come linguaggio, molto come costume. Poi è anche vero che esistono una serie di realtà che localmente (intendo in determinate città) fanno un ottimo lavoro, quindi volendo cercare molte volte si trovano cose belle, in contatto con quello che succede nel resto del mondo, e esiste anche un discreto numero di autori di ottimo livello. Resta comunque il fatto che una cosa se non viene insegnata, non viene promossa e non viene diffusa in modo ampio è chiaro che non può neanche conseguire un alto valore commerciale, e quindi vende poco, quindi i libri di fotografia nelle librerie non ci sono e le opere fotografiche, mi chiedo, nelle gallerie quanto e come si riesce a venderle?

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Dalla serie Padre Pio
© Fabio Severo e Alessandro Imbriaco

Fabiano Busdraghi: Passiamo ad un altro argomento, che mi è particolarmente caro. Come abbiamo già detto, oltre a fotografare, scrivi uno splendido blog dedicato alla fotografia artistica, Hippolyte Bayard, di cui sei l’unico autore ormai da un anno e mezzo. Che cosa ti ha spinto a scrivere di fotografia?

Fabio Severo: Forse in primo luogo la tentazione di creare un luogo dove creare dei contenuti relativi alla fotografia contemporanea è stata agevolata dall’immediatezza offerta da internet, un luogo dove un momento non esiste nulla e quello dopo hai messo on-line una cosa nuova, poi che cosa sia in realtà e quanto possa valere e durare nel tempo è un altro discorso. Secondo, la curiosità, la voglia di inserirsi nella scia dei vari blog e aggregatori di informazioni fotografiche che già esistevano, sullo stimolo anche della scarsità di esempi analoghi allora presenti nel panorama italiano, quindi la classica domanda “perché non fare qualcosa del genere anche in lingua italiana?”. E poi rimane un ottimo modo per scoprire continuamente nuovi autori, sia perché li vai a cercare per poterne scrivere, sia perché spesso sono i fotografi stessi che mi scrivono per segnalare il proprio lavoro.

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Dalla serie Padre Pio
© Fabio Severo e Alessandro Imbriaco

Fabiano Busdraghi: Credi che l’attività di blogging sia utile per la carriera fotografica, le due attività sono strettamente legate o invece completamente diverse? Il blog ti ha permesso di trovare contatti interessanti, sia dal punto di vista umano che professionale?

Fabio Severo: Scrivere on-line può essere un modo per entrare in contatto con molte persone e con diversi ambienti, ma penso che di base resti sostanzialmente separato dalla professione del fotografo. Piuttosto può aprire ulteriori prospettive di scrittura, partecipazione a workshop, iniziative di diffusione della cultura fotografica, progetti curatoriali, etc. Personalmente mi ha permesso di partecipare a dei progetti interessanti e di entrare in contatto con molte persone che probabilmente non avrei mai incrociato, e trovo che questa sia una bella possibilità.

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Dalla serie Padre Pio
© Fabio Severo e Alessandro Imbriaco

Fabiano Busdraghi: Pensi che oggi internet possa sostituire i canali tradizionali di diffusione delle immagini, o rimane essenziale esporre il proprio lavoro nelle gallerie, e nei musei e pubblicarlo in libri e riviste?

Fabio Severo: Non saprei rispondere globalmente, non penso di conoscere davvero tutta una serie di dinamiche che permetterebbero di collegare l’andamento della circolazione “reale” dei lavori fotografici con la loro presenza sul web. Quello che è certo è che in rete stanno prendendo piede una serie di progetti e modalità di diffusione che indubbiamente vanno considerati vere e proprie finestre sullo stato della fotografia contemporanea: gallerie on-line, riviste, siti tematici, blog, diverse forme di produzione e diffusione di contenuti che indubbiamente hanno raggiunto una loro solidità. Un aspetto che si nota dal basso e che trovo bello resta sempre l’attitudine della rete verso una sorta di democrazia di diffusione e circolazione, ovvero la possibilità di affiancare nello stesso luogo virtuale l’autore affermato e quello emergente o ‘amatoriale’: una dinamica che in qualche modo attenua il peso del nome e sposta l’attenzione sul progetto, sul lavoro proposto, sulle immagini.

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Dalla serie Padre Pio
© Fabio Severo e Alessandro Imbriaco