David la Chapelle

© David la Chapelle

Sono appena tornato dalla mostra di David la Chapelle alla Monnaie de Paris e devo ammettere che per certi versi sono rimasto piuttosto deluso.

Delle fotografie di la Chapelle non voglio parlare, perché è un autore che ho sempre apprezzato e in media mi sono piaciuti tutti i lavori che ho visto alla mostra, anche quelli più recenti che non conoscevo. La Chapelle è un fotografo che viene spesso accusato di non essere troppo originale, di ispirarsi in maniera eccessivamente direttamente alla cultura pop, o per esempio a Witkin per quanto riguarda i suoi quadri popolati da una moltitudine di paesaggi. Sebbene queste critiche siano in parte condivisibili, personalmente ho sempre ammirato le immagini dai colori elettrici di la Chapelle, i suoi ritratti stridenti, la presenza ricorrente di un nudo sfacciato e aggressivo, l’inventiva infinita che dimostra nelle sue foto.

Le fotografie viste a la Monnaie de Paris, anche se in buona misura le conoscevo già, non fanno che confermare queste mie impressioni, anche se devo ammettere che i ritratti un po’ folli delle varie star americane sono secondo me ancora più riusciti dei lavori recenti e più personali. Insomma, giudizio positivo per quanto riguarda i contenuti delle immagini. In questo breve articolo mi concentrerò allora su due aspetti più puramente tecnici: la stampa e la mostra stessa, due aspetti che mi hanno lasciato non completamente soddisfatto.

David la Chapelle

© David la Chapelle

So benissimo che quello che conta maggiormente in fotografia è l’immagine in sé, indipendentemente dai dettagli tecnici della stampa. I lettori che leggono regolarmente Camera Obscura sanno benissimo che critico aspramente chi giudica della qualità di una fotografia solo in base alla nitidezza, la gamma tonale e le altre caratteristiche tecniche dell’immagine generalmente considerate positive, caratteristiche che vengono elevate a dogmi indiscutibili e inattaccabili. Ma è anche vero che, tanto la stampa quanto il modo di presentarla, possono essere parte integrante dell’immagine fotografica intesa nella sua totalità.

David la Chappelle ha sicuramente i mezzi economici e umani (basta vedere le decine di assistenti che si affollano sui suoi set) per ottenere il massimo del massimo. E allora un peccato notare che i lavori esposti in questa retrospettiva sono di qualità disomogenea, soprattutto quando ogni tanto qualche stampa spicca fra le altre per bellezza e perfezione, mostrando chiaramente a che livelli è possibile arrivare, e facendo miseramente sfigurare quelle meno riuscite. Questo infatti mostra chiaramente come la perfezione tecnica sia di fatto raggiungibile e -almeno in certi momenti del suo percorso artistico- abbia avuto un peso importante nella visione artistica dell’autore.

David la Chapelle

© David la Chapelle

Per esempio, la famosa e splendida foto di Courtney Love “la pietà”, era stampata molto molto grande, direi all’incirca due metri per tre. È una fotografia che mi piace tantissimo, tanto per la messa in scena che per le idee che sottende, quindi ribadisco che nel seguito mi riferisco unicamente alla stampa e non all’immagine in sé. È stata una grande delusione avvicinarsi e notare la pesante perdita di dettaglio, gli evidenti artefatti digitali, addirittura la pixellizazione nelle diagonali degli elementi. Fra l’altro questo è un genere di foto dove, a mio giudizio, il dettaglio e la perfezione tecnica apportano comunque qualcosa all’immagine e la stampa è a mio gusto veramente deludente. Dal video del backstage mi pare che la Chapelle scattasse con una Hasselblad digitale. Mi verrebbe da dire che poteva stampare un po’ più piccolo oppure, se il formato così grande era veramente un punto fondamentale, scattare con una grande formato a pellicola e poi scansionare il negativo. Oppure aggiungere un bel grano per coprire i difetti e creare della materia, sono persuaso che un grano come quello che ho descritto in l’ingrandimento digitale avrebbe notevolmente migliorato la qualità di stampa.

David la Chapelle

© David la Chapelle

L’impressione negativa poi è rafforzata dal confronto con le varie stampe delle fotografie di vip scattate durante gli anni novanta, davvero stupende. Nella maggior parte dei casi si vede subito che sono foto analogiche, tanto per la bella grana, che per la mancanza di artefatti come color fringing, aloni e pixellizzazioni che rovinano alcune delle fotografie recenti. Certo, le stampe sono “più piccole”, quindi in un certo senso più facili; ma la cromia, il dettaglio e la “pasta” della foto sono splendide. I lettori di Camera Obscura sanno anche che adoro la fotografia digitale e che non penso che questa sia inferiore a quella analogica (anzi, ormai l’ago della mia bilancia pende più verso l’altro lato), ma non posso fare a meno di constatare che nel caso di David la Chapelle, i suoi lavori su pellicola mi sembrano migliori. Restan poi fuori una serie di lavori che non riesco a indovinare se sono digitali o analogici, ma di ottimo livello, che trovo perfettamente soddisfacenti. Credo comunque che -per quanto riguarda le foto in digitale- con una postproduzione più attenta sarebbe stato possibile ottenere un risultato decisamente migliore, ed è proprio questo fatto che mi ha fatto un po’ dispiacere e mi ha portato ad un po’ di disillusione nei confronti della mostra.

Oltre alle caratteristiche tecniche delle stampe, sono rimasto un po’ insoddisfatto a causa di un paio di punti negativi dell’esposizione, questi non attribuibili a David la Chapelle, ma unicamente al museo.

In primo luogo, dopo la prima bella sala, ampia e spaziosa, le stanze si fanno via via sempre più strette ed anguste, ed è difficile godere delle stampe facendo la coda pressati dalla folla, senza potersi spostare a piacimento, senza potersi avvicinare e allontanare, ma facendosi trasportare dal flusso di visitatori. Ho evitato apposta i fine settimana, ma nonostante questo le sale erano troppo piccole e affollate, uno spazio più ampio e con più respiro sarebbe stato certamente preferibile.

David la Chapelle

© David la Chapelle

Secondo punto negativo -incredibile ma vero- tutti i vetri che proteggevano le stampe erano piuttosto sporchi, a volte sporchissimi. La splendida foto di David Bowie per esempio aveva sul vetro delle incrostazioni grigie di diversi centimetri quadrati, che ricoprivano interamente i due angoli inferiori dell’immagine. Non riesco a capire come sia possibile presentare delle foto sporche in questo modo. Qualche ditata passi, ma c’è comunque un limite al ragionevole.

Infine, nonostante siano esposte almeno un centinaio delle fotografie di David la Chapelle, si ha la spiacevole impressione che le foto esposte siano veramente troppo poche. Quando si pensa di essere ancora all’inizio della mostra si scopre che invece ci si trova già nell’ultima stanza, subito prima dell’uscita. Fra l’altro, appena fuori da questa, si entra nella boutique del museo, dove vengono beffardamente vendute centinaia di cartoline e poster di foto non presenti nella retrospettiva. Anche sfogliando il catalogo della mostra si notano subito con rammarico le decine e decine di fotografie presenti nel libro ma non sui muri del museo, ed è terribilmente frustrante doverle guardare nelle riproduzioni del catalogo e non poterle ammirare dal vero. Quest’impressione di essere un po’ presi in giro e di aver visto molte meno fotografie di quello che sarebbe stato possibile è particolarmente spiacevole, è mi ha guastato la visita. Opinione fra l’altro condivisa dalle 4 o 5 persone che hanno visitato la mostra insieme a me. Per un biglietto d’ingresso che costa -per uno studente- più della visita al Louvre, è veramente frustrante la sensazione di aver appena appena sfiorato la produzione di la Chapelle, tutt’altro che esigua, con la beffa poi di vederla rappresentata molto meglio negli oggetti in vendita.

Per concludere, al di la di alcune stampe -per un perfezionista come me- di qualità forse non allo stato dell’arte, una mostra che permette di ammirare alcuni splendidi lavori di uno dei fotografi giustamente più famosi al mondo. Peccato che il sovraffollamento nelle piccole stanze, i vetri di protezione sporchi, e soprattutto un numero di fotografie esposte relativamente esiguo, rovinino in parte la visita alla mostra di David la Chapelle.