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Testo e foto di Steven Nestor.

 

Il Phoenix Park di Dublino, più piccolo del Bois de Boulogne di Parigi, ma più grande del Central Park di New York, è uno dei più grandi parchi pubblici al mondo. Creato nel 1662 da re Carlo II per la caccia al cervo, sopravvive pressoché intatto, miracolosamente, da 350 anni. Un fatto tanto più notevole se si considera l’atteggiamento a volte un po’ “distaccato” della Repubblica Irlandese nei riguardi delle sue bellezze naturali e dei siti storici (in particolare quelli del tempo dell’Impero Britannico). Sia giusto o no, è stata avanzata all’Unesco la proposta di dichiarare Phoenix Park patrimonio dell’Umanità.

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Per gran parte della mia vita, comunque, nel parco non sono entrato se non in auto quando avevo necessità di attraversarlo, oppure quando volevo visitare lo zoo situato presso l’ingresso principale. Solo nel 2007 cominciai ad andare nel parco e ad esplorarlo. Questo ritardato interesse si spiegava col mio appartenere a quella generazione di Irlandesi che per mentalità erano portati a rivolgersi verso l’estero, snobbando (non sempre senza ragione) quasi tutto quello che avevano a disposizione in patria. Passati cinque anni da quelle mie prime visite, i caratteri e la dimensione del parco continuano a colpirmi. Nonostante sia molto vasto e a tratti selvaggio, è possibile sentire e vedere il parco semplicemente come uno spazio verde aperto, con aree dedite alle più’ svariate attività, e come un luogo di scambi (non sempre leciti). Nella sua immensità, offre pace al viandante e possibilità di fuga dalla città frenetica rinchiusa entro le sue mura perimetrali. Dalla maggior parte del parco, Dublino si vede poco o niente, mentre dominano due maestose strutture di religione e di impero, la Croce Papale e il monumento a Wellington. Se, per scelta, non mi sono dedicato agli altri manufatti del parco, ebbene, questi due non è veramente possibile ignorarli.

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Cominciai nel 2008 a esaminare il monumento di Wellington. Coi suoi 62 metri di altezza, l’obelisco ricorda un irlandese di nascita, il primo Duca di Wellington, con le sue vittorie di Waterloo e dell’India. È il più grande obelisco d’Europa, e sarebbe stato ancora più alto se il finanziamento pubblico non fosse venuto meno. Circondato da un ampio spazio aperto, è il naturale semaforo e il punto di smistamento per escursionisti solitari e di gruppo, per gente dedita a picnic e a partite di calcio. Attira i cultori di storia e di architettura, ma – io penso – sono in maggior numero quelli che ci vanno perché è una enorme struttura con gradini sui quali sedere ed un basamento sul quale arrampicarsi. Se a vedere l’obelisco ero abituatissimo, fotografarlo è stata invece una sfida, in quanto mi ha richiesto molta concentrazione per sviluppare una nuova impressione e dimenticare la vecchia. Dovetti poi estendere al resto del parco la de-familiarizzazione ma questo fu, in qualche modo, più facile, almeno all’inizio, dato che ampia parte rappresentava per me solo il nome di un luogo.

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Quando Papa Giovanni Paolo II visitò l’Irlanda nel 1979, disse messa al Phoenix Park, dove era presente un terzo della popolazione irlandese prevalentemente cattolica. C’ero anche io, giovanissimo. Alzarsi con mio padre prima dell’alba e poi il treno per Dublino – questi i miei ricordi – e al parco gli scouts che convogliavano le ondate senza fine dei fedeli in arrivo. E qualcuno che sveniva, e la radio sintonizzata per sapere i movimenti del Papa. E il mio shock quando vidi la quantità gigantesca di escrementi nelle fosse sottostanti ai bagni provvisori. L’Irlanda era una nazione povera, con strade cattive e scarpe fruste, ma quel parco e l’Irlanda erano in quel momento al centro del mondo e ancora oggi una enorme croce bianca domina una collinetta nel punto dove era collocato l’altare. Oggi l’Irlanda non ha più l’ambasciatore del Vaticano, e la Chiesa Cattolica sembra implodere in una agonia inesorabile. Ma alla base della croce un mazzo di fiori è spesso presente, offerto dai riconoscenti Polacchi di Dublino.

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Al di là di queste due maestose strutture, circa un terzo del parco è coperto da alberi tipo quercia, faggio, ippocastano, con una quantità di habitat naturali. Dato che in Irlanda la foresta, specie di latifoglie, è rara, tutta questa varietà, sia in bosco ceduo, sia in nodosi esemplari isolati, mi attrae e mi affascina particolarmente. Circondata come è da una città di circa un milione di abitanti, c’è qualcosa di inaspettato in quella presenza, così come nel vagare dei cervi. Così come c’è qualcosa di strano nella tipologia di quegli alberi, che uno si aspetterebbe di trovare lontano dalla città. Nella mia esplorazione del parco, all’inizio prevedevo di scattare in molti luoghi diversi, così da costruire una specie di mappa del parco. Invece, malgrado la dimensione del parco (o forse proprio per questa) sono spesso ritornato negli stessi punti a ri-fotografare lo stesso albero.

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Il Parco ha significato, per me, immergermi nella vastità del suo spazio e cercare di trovare un senso nel suo volume al di là di storia e statistiche. Piuttosto che sull’ultimissimo tipo di fotografia digitale, ho scelto di andare sull’analogico (pellicole e formati). È stato usato in prevalenza un formato medio (quadrato), ma mi è anche capitato di usare pellicole scadute da tempo, una vecchia pellicola 126 e una macchina Vrede senza obbiettivo. Sentivo che tutto questo mi avrebbe aiutato ad ancorare la mia visione e il mio lavoro a questo parco vecchio di 350 anni. Usare queste tecnologie fotografiche obsolete mi ha portato all’estremo opposto delle frontiere tecnologiche. Il risultato: una rappresentazione a mio senso più autentica di questo enorme spazio storico. Non ho tentato di nascondere la mia ombra in qualche immagine, così lasciando una piccola traccia della mia personale presenza in questo lavoro. Inoltre, ho scelto di produrre qualche immagine sfuocata, anche per riflettere la mia personale miopia (oltre che per scelta estetica).

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Questo lavoro ha voluto dire mettere in memoria la foresta e tutto ciò che nel produrlo ho incontrato. Andare sul terreno ed essere completamente assorbito dal luogo e dal momento, anche se il Phoenix Park stesso sempre sarà più grande nel confronto con il Parco.

 

Per ulteriori informazioni e altre fotografie si visiti il sito di Steven Nestor.

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