Marco Guerra è un fotografo italiano che ha uno studio di fotografia commerciale a New York. È uno dei rari fotografi il cui lavoro di moda mi piace sinceramente, e non sfigurerebbe assolutamente in una galleria d’arte. Si veda in particolare “Conde nast traveller” e “Egon”, a mio gusto personale perfettamente inseriti fra ispirazione pura e commissione.

Il sito di Marco Guerra del resto è molto completo e vale la pena fare un giro approfondito. Oltre al portfolio pubblicitario e di moda vengono presentati ritratti personali e commissionati, pubblicità e qualche progetto artistico. Quasi tutte le immagini sono veramente di livello altissimo e un giorno gli proporrò un intervista in modo da pubblicare qualche immagine in più e discuterne insieme.

Oggi però mi volevo limitare ad una fotografia del progetto “1001 dreams”. Foto di nudo sulle quali la compagna di Marco Guerra dipinge dei motivi decorativi e geometrici che ricordano i tatuaggi tribali e gli arabeschi delle moschee. Come al solito sono particolarmente affascinato dai lavori in cui si mischia con disinvoltura la fotografia ad altre forme di espressione artistica che, in generale, sono considerate lontane o addirittura incompatibili con la fotografia stessa. Ecco quindi un altro buon esempio di come non valga la pena definire rigidamente cosa sia e non sia fotografia, ma seguire la propria vena creativa liberamente e senza condizionamenti.

Le foto della serie “1001 dreams” mi affascinano tutte, anche perché da alcuni anni lavoro anche io sul tema della pella e della sua scrittura, e quindi è un tipo di ricerca cui sono particolarmente sensibile. La mia preferita è comunque la foto che ho scelto per questo breve articolo, l’unica che, oltre alla bellezza e al fascino delle altre, mi fa viaggiare lontano.

La riflessione verticale della ragazza infatti mi fa sognare epoche mitiche e lontane, e mi evoca l’acqua, pur senza vederla. Devo dire però che mi fa pensare, più che all’usitato mito di Narciso, alla penombra oscura di un gineceo in cui ogni sguardo è proibito, gli angoli nascosti e vaporosi di un hammam in cui giovani fanciulle lasciano cadere i loro veli, sicure che nessuno le vedrà. Mi fa immaginare una principessa antica di un’epoca di fantasia, che si lava specchiandosi nella vasca del suo palazzo, mi ricorda Zhang Ziyi in House of the flying daggers mentre si bagna, fingendosi cieca, in una pozza di foresta nebbiosa. Una storia fra parentesi ispirata dall’antica poesia di Li Yannian:

北方有佳人,絕世而獨立。
一顧傾人城,再顧傾人國。
寧不知傾城與傾國。
佳人難再得。

 

Una rara bellezza del nord, la più bella donna sulla terra.
Un suo sguardo e tutta la città cade, un secondo lascia il regno in rovina.
Non sapevo forse che avrebbe rovesciato città e nazioni?
Ma una tale bellezza è così difficile da ritrovare!

Poi ci si rende conto che in realtà non si tratta di una riflessione, e all’inizio si pensa ad una rotazione, come nelle carte da gioco, o in certe fotografie di Jan Saudek. Questo gesto immaginario, l’azione mentale di prendere la fotografia e ruotarla, l’idea di poterla osservare indirettamente da sopra o da sotto, che tutto è relativo, che la vera fruizione si fa inevitabilmente ruotando l’immagine senza posa, non può che evocare l’idea del cerchio. Non può che far pensare ad un simbolo di perfezione e completezza, di armonia, di equilibrio. Ecco che vengono a mente immagini più o meno autentiche di un’antica saggezza orientale, della filosofia e religione Cinese e Indiana, in cui l’alternanza solamente ha senso, in cui gli opposti, il sopra e il sotto, il bianco e il nero, si compenetrano senza posa.

Ma anche quest’interpretazione poi cade, le due figure non sono né una riflessione né una rotazione l’una dell’altra, ma proprio due fotografie indipendenti, simili ma pur diverse, della stessa persona in due pose quasi simmetriche. Cos’è allora? Un ricordo, il tempo che passa? Un sogno, un’idea mai realizzata?

Meglio non porsi domande, e lasciarsi cullare dall’immagine e da quello che ci sa sussurrare, meglio lasciarsi andare alle sensazioni, senza pensare. L’atmosfera di penombra, le mani che toccano il viso come in una leggerissima carezza, le braccia incrociate in un gesto femminile di quiete e protezione, gli occhi chiusi con dolcezza inequivocabilmente suscitano immagini di morbidezza, penombra, silenzio, che amo in modo particolare. Le donne aggressive, mascoline e moderne di tanti fotografi non mi fanno sognare come questa bellissima principessa dell’isola di Pasqua o di qualche sperduto regno dell’Asia di un’epoca che non è mai esistita.

Una fotografia totale, assoluta. In cui l’arabesco e la doppia immagine evocano perfettamente l’antico e la perfezione, la bellezza di un mondo che non c’è.