Corona

Pubblicità Corona
© Anonimo

Nell’articolo recentemente pubblicato Pornografia e sesso esplicito: l’autonegazione dell’arte contemporanea, abbiamo visto come numerosi fotografi e artisti contemporanei, nonostante abbiano messo il sesso e la rappresentazione di questo direttamente al centro del loro lavoro, in un certo modo si autocensurano, ricorrendo a diversi espedienti fotografici, come la posa lunga, il mosso, lo sfuocato o addirittura eliminando direttamente dall’immagine i corpi e l’atto sessuale stesso.

Vedendo queste serie di fotografie si ha come l’impressione che un lavoro sul sesso -per qualche ragione- sembra non possa essere altro che allusivo, come se fosse necessario eliminare ogni traccia residua di pornografia o di rappresentazione diretta dell’unione dei sessi. Sembra quasi che l’unica possibilità per parlare di sesso sia farlo unicamente per parafrasi, nascondendo il viso dietro la mano, arrossendo di pudore, come se fossimo ancora alla bigotta epoca della riforma luterana. In un articolo futuro vedremo in dettaglio che non è sempre questa la situazione nel mondo della fotografia d’arte, ma abbiamo visto che è comunque significativo il numero di lavori che si vedono per gallerie e musei in cui il tema centrale dovrebbe essere il sesso, ma se ne fa unicamente allusione implicita.

Che la pornografia e il sesso in generale siano soggetti demonizzati, scomodi e imbarazzanti non è una novità.

Woodstock

Woodstock
© Anonimo

Si potrebbe credere ingenuamente che dopo la rivoluzione sessuale ognuno ormai sia libero di vivere la sessualità come preferisce, che i comportamenti e i costumi si siano completamente aperti e rilassati. Non ho direttamente vissuto il decennio a cavallo del ’68, ma dai film, i libri, e le testimonianze di allora, mi pare si possa dire chiaramente che oggi siamo veramente lontani da ciò che ci si poteva attendere da questo periodo dai mille ideali. Quello che si è liberalizzato è forse una certa accettazione del fatto che il sesso esista, che tutti lo pratichino e che se ne possa parlare, anche pubblicamente. Ma mi pare che invece di distruggere di netto la moralità piccolo borghese in realtà si siano solo riscritti in modo diverso i codici morali, le barriere del pudore, le traiettorie pretracciate di ciò che è accettabile e ciò che non lo è. Come se in un’ipotetica rivoluzione ci si volesse sbarazzare delle proprie uniformi, privarsi del lusso dei vestiti per tornare ad una presunta purezza primitiva, ma invece di buttare i vestiti alle ortiche compiendo una vera rivoluzione nella sostanza delle cose, si passasse unicamente per il superficiale, si finisse per cambiare i pantaloni di velluto con i jeans, la camicia con una felpa, le cravatte con i foulard, ma senza abbandonare i vestiti, ciò che si voleva distruggere. Certo, visivamente qualcosa è cambiato, ma di fatto nessuno va in giro nudo. Al di l dell’esempio e tornando alla rivoluzione sessuale, alla fine, nel concreto, i costumi sessuali non sembrano oggi così liberi come ci si sarebbe potuti aspettare dopo la rivoluzione sessuale. Senza considerare poi che purtroppo dopo ogni rivoluzione c’è una restaurazione, è ho avuto la sfortuna di nascere in questa piuttosto che nella prima, oggi si parla forse più di sesso che allora, ma lo si pratica meno e con meno libertà, come dicono le statistiche che non fanno che confermare le esperienze dirette delle persone che mi circondano. Non dico che gli anni sessanta non siano serviti a niente, ma che l’apertura che si poteva auspicare non è arrivata con l’ampiezza che ci si poteva attendere.

Japanese AV

La censura nel porno giapponese
© Anonimo

Per fare un altro esempio di come di fatto la libertà sessuale sia limitata, si sente sempre più spesso dire in giro che siamo bombardati da sempre più abbondanti immagini sessuali, nella pubblicità, nei film, nelle canzoni. Anche questa affermazione mi sembra almeno in parte incorretta. Non siamo bombardati da immagini sessuali, ma soprattutto da allusioni di queste. Allusioni più o meno esplicite certo, ma sempre ben nei limiti del politicamente corretto, del socialmente approvato, dell’eticamente accettabile. Nei film che passano alla televisione sembra ci debba praticamente sempre essere una scena d’amore, ma queste sono quasi sempre estremamente codificate. Si allude all’amplesso, si mostrano i corpi, ma con certe regole ben precise: le gambe, i seni il fondo schiena sono accettati, ma il vello pubico è rarissimo, un membro maschile ancora più raro, in erezione un vero tabu. A scanso di equivoci vorrei sottolineare ancora una volta che non sto portando nessun giudizio di valore, dire che questo atteggiamento sia corretto o sbagliato, semplicemente mi limito a constatare che nel cinema, come nella maggior parte degli altri media espressivi, per quanto riguarda la sessualità in realtà ci si muove all’interno di regole ben precise, regole che mi fanno un po’ sorridere come le censure pixellate dei film AV giapponesi, prassi che possono essere banalizzate in un “se ne parla, si allude apertamente, ma non si mostra niente che sia sconveniente”. Pratica che è esattamente analoga a quella degli gli artisti citati nell’articolo precedente. Naturalmente esistono le eccezioni, per rimanere in ambito cinematografico basta pensare ai film di Catherine Breillat, oppure a Baise moi, 9 songs o lo splendido Ken Park giusto per citarne qualcuno. Ma si tratta appunto di eccezioni, e per di più spesso relegate ad un pubblico piuttosto colto e ristretto.

Pane erezione

Pane in erezione
© Anonimo

Perché la rivoluzione sessuale sembra aver solo riscritto i codici sessuali invece di liberarli come ci si poteva aspettare? Perché oggi la sessualità sembra essere completamente soggiogata all’illusione allusiva controllata dal politicamente corretto?

Cercare di rispondere a queste due domande è forse possibile, ma sicuramente esula dagli scopi di un blog dedicato alla fotografia. Anche una domanda più vicina agli scopi di Camera Obscura, perché nel mondo della fotografia la rappresentazione esplicita della sessualità è spesso negata, è di difficile risposta, perché probabilmente la fotografia riflette mentalità e concezioni di un contesto più ampio, quindi si torna alla domanda troppo lontana dalla fotografia del paragrafo precedente. Nonostante questo, è comunque possibile tirare qualche elemento preliminare che delucidi almeno in parte la situazione.

Una prima considerazione, che può sembrare quasi banale, è che i fotografi e in generale gli artisti, non sono un gruppo umano sconnesso dal resto dell’umanità, che agisce come preferisce senza badare in alcun modo ai giudizi del resto dell’umanità. È vero che gli artisti spesso rappresentano linee di fuga che spingono verso nuove concezioni e rappresentazione del mondo come della morale, rappresentano spesso la frangia più libera e rivoluzionaria della società. Però è anche vero che sono esseri umani e cittadini come tutti gli altri, quindi non possono essere concepiti come un’entità mentale completamente a se stante. Da un lato sono comunque cresciuti all’interno di schemi educativi ben definiti, e per quanto le idee di un artista possano essere in antitesi con la mentalità dominante della società a cui appartiene, rimane comunque un imprinting generale, una sorta di tela di fondo determinata dalla società di provenienza e appartenenza. Dall’altro lato, più banalmente, la produzione artistica -concretamente- è un delicato equilibrio fra ispirazione personale e commercio di un prodotto. Il successo materiale di un artista dipende principalmente dai collezionisti e dal mercato dell’arte. Le opere controverse e scandalose possono comunque avere un loro giro di vndite -anzi, in certi casi è proprio la natura provocatoria di un’opera d’arte a determinarne il successo-, ma è comunque fondamentale muoversi all’interno di un quadro definito e determinato, nella sua complessità anche antitetica, dalla società stessa.

Un esempio un po’ eccessivo e provocatorio che però permette di illustrare cosa intendo potrebbe essere il seguente.

Witkin

Il bacio
© Joel-Peter Witkin

Molte persone trovano scandalose e offensive le fotografie di cadaveri di Witkin, però queste conoscono un grande successo anche -oltre all’indubbia qualità intrinseca delle foto e della visione estetica di Witkin- grazie al loro carattere macabro e morboso. Questa caratteristica infatti, almeno in un determinato circolo sociale in cui la ricerca visiva di Witkin è accettata, conferisce quasi una sorta di valore aggiunto alla fotografia. Se però un fotografo decidesse di “lavorare” non sui cadaveri, ma per dire sui sacrifici umani, commettendo omicidi per realizzare le sue fotografie, verrebbe giustamente imprigionato a vita invece di vedere il proprio nome consacrato dai musei di arte contemporanea di tutto il mondo.

L’esempio difetta in un paio di punti: nel fatto che Witkin, a differenza dei fotografi citati, è estremamente più provocatorio ed estremo, e soprattutto nel fatto che nell’esempio si parla di assassinii, mentre il sesso per fortuna non fa male a nessuno. Nonostante si tratti quindi di un esempio spinto ai limiti del grottesco, credo illustri bene la dinamica riassumibile nel “fare scandalo accettabile”. Insomma, è possibile fare scandalo, ma sempre muovendosi all’interno di uno “scandalo accettabile”, che è un po’ quello che fanno i fotografi dell’articolo precedente: fotografano un tema provocatorio e quasi tabu, ma autocensurandosi per moderare la provocazione entro i limiti del politicamente corretto.

Per concludere ripeto per l’ennesima volta che non c’è nessun intento da parte mia di denigrare il lavoro dei fotografi suddetti, mi limito a constatare una situazione diffusa. Nel prossimo articolo vedremo come di fatto in molti casi la società ha cercato di “punire” chi ha cercato di allontanarsi da ciò che la società stessa considerava eticamente corretto, anche se di fatto i soggetti erano assolutamente non pornografici e a volte nemmeno erotici.