Cassa UV

Cassa di tubi UV per la stampa di tecniche antiche.

La maggior parte delle tecniche antiche e alternative utilizzano materiali sensibili alle radiazioni ultraviolette e non alla luce visibile. Inoltre quasi tutti i supporti sono molto più lenti della normale carta ai sali d’argento. Non è quindi in generale possibile utilizzare un semplice ingranditore come si fa normalmente in camera oscura. È necessario invece utilizzare una sorgente luminosa UV di grande superficie e stampare per contatto utilizzando un pressino o torchietto per ottenere un contatto perfetto fra negativo e supporto di stampa.

In realtà almeno teoricamente è possibile utilizzare un ingranditore, ma nella pratica non è sufficiente sostituire la lampadina con una che emetta raggi ultravioletti, altri problemi rendono un’unità per stampe a contatto molto più pratica e economica.

In primo luogo, visto che che la quantità di luce diminuisce con il quadrato della distanza dalla sorgente e vista la scarsa sensibilità dei materiali, la sorgente luminosa deve essere molto potente e raffreddata efficacemente per non bruciare il negativo. I tempi di esposizione con un eventuale ingranditore UV sono molto lunghi, su internet gira la voce che circa 15 minuti sono necessari per una gomma bicromata 18X20cm, che diventa un tempo improponibilmente lungo già con un cianotipo, tecnica che in generale è fra le 3 e le 5 volte più lenta di una gomma. I formati superiori poi richiederebbero ore di esposizione, mentre una gomma si stampa per contatto in circa 2 minuti indipendentemente dal formato. È vero che ingrandire i negativi può essere un’operazione lunga, complessa e tediosa, ma se si deve stampare un’edizione di 20 esemplari, diventa prioritario che i tempi di esposizione delle stampe restino ragionevoli o perlomeno inferiori a quello necessario per ottenere un negativo ingrandito. Senza contare che attualmente si possono ottenere negativi digitali di ottima qualità, molto rapidamente e col minimo sforzo.

Il secondo grosso problema è che la maggior parte dei vetri filtra gli UV, compresi i vetri, sono generalmente utilizzati per gli obiettivi e i porta negativi. Si dice però che gli obiettivi El Nikkor lasciano passare circa il 50% delle radiazioni UV, quindi potrebbero essere un buon punto di partenza. Ma ecco subentrare un ulteriore problema: gli obiettivi sono progettati per minimizzare le aberrazioni ottiche nel campo del visibile, ma non in quello ultravioletto. Inoltre si ha lo stesso problema di messa a fuoco che si ha scattando su pellicola IR, e non esiste nessun modo semplice per focalizzare correttamente il negativo sul piano di stampa.

Gira la voce che alcuni anni fa Durst annunciò un ingranditore che permettesse di stampare su normale carta ai sali d’argento, su carta AZO e inoltre su Platino e Palladio. Non so se la notizia è vera, ma quello che è certo è che l’ingranditore dedicato alla carta AZO costava 12000 dollari, più 5500 dollari per la sorgente luminosa, rendendo quindi estremamente costosa la soluzione ingranditore UV.

Tutto sommato quindi, visto che ottenere negativi ingranditi non è poi difficile, stampare per contatto permette alla fine dei conti di risparmiare tempo, è una scelta economica e relativamente semplice da mettere in atto e elimina i problemi di aberrazioni e messa a fuoco propri degli obiettivi.

 

Cassa UV accesa

L’interno dell’unità UV con i 7 tubi “luce nera” accesi. L’emissione di ultravioletti di tipo B è contenuta, quindi non sono necessarie precauzioni eccessive come nel caso delle lampade abbronzanti.

Per quanto riguarda la scelta dei materiali, i tipi di luce, etc, su Unblinkingeye c’è un ottimo articolo di Sandy King, Ultraviolet light sources for printing with the alternative processes, quindi non sto a ripetere quello che è stato così approfonditamente e sapientemente descritto.

La scelta della luce può diventare una variabile importante, come testimonia l’articolo appena citato. La sorgente di luce utilizzata infatti, oltre alla rapidità di esecuzione, può influire su contrasto, colore, e in generale tutte le caratteristiche della stampa.

Le possibilità sono infinite: si può passare da una semplice lampada abbronzante (sconsigliata, perché oltre a scaldare eccessivamente emette molti raggi UV di tipo B, nocivi per la pelle e quasi completamente filtrati dal vetro) a un bromografo, una macchina utilizzata in passato dalle case tipografiche per incidere lastre off-set (che ha il vantaggio di fare il vuoto per il contatto fra negativo e stampa, rendendo inutile il pressino o torchietto, le più piccole in genere hanno una superficie utile di 50x70cm, che permette di ottenere agevolmente stampe di grosso formato), fino alla sofisticatissima AmerGraph ULF-28, sogno di tutti gli stampatori per contatto.

Maniglia e interruttore

Maniglia e interruttore della lampada UV.

In generale però non è necessario utilizzare macchine raffinatissime e complesse, per ottenere buone stampe basterebbe utilizzare il sole, se questo non avesse la cattiva abitudine di essere una sorgente di luce incostante, difficilmente quantificabile, e soprattutto non esser disponibile di notte, momento in cui la maggior parte delle persone trovano il tempo per stampare. Nel seguito di questo articolo descrivo quindi brevemente la sorgente di luce che utilizzo correntemente, una soluzione economica e semplice da costruire che permette di ottenere ottime stampe in un tempo ragionevole. Colgo l’occasione per dare qualche consiglio su possibili migliorie per chi volesse costruire la propria sorgente UV per le stampe per contatto.

La sorgente di luce sono dei tubi simili a quelli che si trovano in certe discoteche, che producono quella luce violetta che si riflette sul bianco dei vestiti e mette in risalto la polvere sui vestiti. Il fatto che venga utilizzata come luce continua in locali pubblici dovrebbe rassicurare chiunque per quanto riguarda l’eventuale presenza di UV di tipo B e la nocività delle radiazioni emesse. Anche se per precauzione evito di guardare i tubi accessi, non ho mai riscontrato i problemi di dolori agli occhio o alla testa di cui parlano certi stampatori. I tubi che uso sono i Sylvania Blacklight-blue F18W/BLB-T8 che costano circa 35 euro l’uno, ma penso che qualunque tipo di neon di luce nera possa andar bene.

Visto che stampo al massimo negativi di formato A3+, ovvero 32x48cm, ho calcolato il numero di tubi per coprire questa superficie mettendoli il più vicino possibile fra loro, ovvero 7 tubi di 60cm di lunghezza, che coprono un’area di 38x60cm. In realtà almeno un ulteriore tubo sarebbe stato molto utile, visto che noto una leggera perdita di luminosità sui bordi verticali dell’imagine. Consiglio quindi chiunque voglia stampare negativi di formato A3+ di utilizzare almeno 8 tubi di 60cm di lunghezza, o in ogni caso di coprire almeno un’area di 45x50cm. La superficie esterna della cassa va invece studiata in modo che si adatti correttamente al pressino utilizzato.

I tubi sono stati montati il più vicino possibile fra loro, ovvero ad una distanza fra gli assi di circa 5,5cm, le basi dei supporti impediscono di avvicinarli ulteriormente. Se fosse possibile trovare dei supporti più fini, in modo da avvicinare ulteriormente i tubi fra di loro, sarebbe possibile aumentare il numero di neon a parità di superficie. Questo, anche se aumenta il costo complessivo dell’unità, aumenta anche la quantità di luce diminuendo per conseguenza i tempi di esposizione.

Neon blacklight-blue

I neon utilizzati sono i “Luce nera, tipo blu”.

La distanza dei neon dal piano del pressino o torchietto è piuttosto esigua, ovvero 6,5cm, e per piccole stampe l’ho anche ridotta a soli 4cm. Per quanto riguarda l’uniformità dell’illuminazione in ogni caso non ho mai notato la presenza di bande in corrispondenza dei tubi, quindi una distanza fra tubi di 5,5cm e una di 6,5cm fra questi e il piano dell’immagine, permette di ottenere un’illuminazione uniforme a tutti gli effetti.

Con questa configurazione i tempi di esposizione sono di circa 2-3 minuti per una gomma bicromata, 3-4 minuti per una stampa bruna, 4-5 minuti per un platino/palladio e 10-15 minuti per un cianotipo classico.

Per il resto si tratta di una semplice cassa di legno con i tubi montati all’interno. Le dimensioni esterne sono di 42x68x16cm (50x68x22cm contando le sporgenze). Sulla parte superiore sono montate due maniglie che permettono di spostare comodamente l’unità. Un interruttore, azionabile anche col piede, permette di accendere e spegnere tutti i neon simultaneamente. Una miglioria che devo decidermi ad apportare è sostituire l’interruttore con un timer, perché capita spesso di dimenticare di misurare il tempo di esposizione, mentre con un contapose basta impostare il tempo di esposizione e ci si può dimenticare della stampa fino a che i tubi si spengono automaticamente e l’allarme sonoro ci indica che l’esposizione è ultimata.

Fori di ventilazione

Fori di ventilazione e schermo dell’unità di esposizione agli ultravioletti.

Sul fianco dell’unità sono praticati dei fori che permettono la circolazione dell’aria, evitando un surriscaldamento eccessivo dei neon. Questo è un punto importante visto che la quantità di luce UV emessa diminuisce drasticamente all’aumentare della temperatura. Un piccolo ventilatore incorporato sarebbe più efficace, e lo aggiungerò il giorno che sostituirò l’interruttore con il timer. In ogni caso la cassa diventa veramente calda soltanto durante la lunga esposizione delle stampe cianotipo; per quanto riguarda la gomma bicromata il ventilatore probabilmente non è strettamente necessario. Montare un ventilatore infine permette anche di limitare la fuoriuscita di raggi UV, per esempio montando un manicotto a sifone che faccia uscire l’aria. I buchi infatti sono appena schermati, e per il momento se sto esponendo una stampa devo evitare di passare vicino alla luce con un altro foglio sensibilizzato.

Un grosso problema che ho avuto in passato infine è che i supporti dei neon sono progettati per essere fissati ad un soffitto o una parete e in seguito non esser più toccati. Spostando continuamente la cassa le staffe laterali si sono aperte e in due o tre occasioni sono diventate così molli che hanno fatto cadere un tubo che si è puntualmente rotto sul pressino. Ho risolto completamente questo problema incastrando delle barre di polistirolo che facciano pressione sulle staffe che sostengono i neon.

Polistirolo per stringere le staffe di sostegno

Polistirolo incastrato fra il bordo della cassa UV e le staffe di sostegno per evitare che queste si aprano lasciando cadere i tubi neon.

Anche se la mia cassa di luce UV è perfettamente efficace, l’anno scorso ho avuto l’occasione di lavorare con uno stampatore che ha montato i neon all’interno di un mobile fisso. Sul davanti c’è uno sportello che si richiude perfettamente, quindi basta inserire il pressino nel compartimento sotto le luci. Devo dire che se dovessi costruire un’altra unità UV seguirei probabilmente il suo esempio, visto che un mobile risolve completamente il problema di caduta dei neon, uno sportello permette di contenere completamente la fuoriuscita di radiazioni UV, è facile montare un ventilatore e un timer permanenti e infine non si deve continuamente spostare, prendere e mettere a posto l’unità -cosa che alla lunga diventa fastidiosa- basta aprire uno sportello e inserire il torchietto, tutto è a portata di mano. L’unico svantaggio è che in questo modo è impossibile stampare su un supporto più grande del compartimento stesso. Se per esempio si stampa dei negativi A3+ centrati su un foglio 50x70cm, il pressino misurerà 60x80cm circa, ma è sufficiente che la cassa di illuminazione copra 45x60cm, dimensioni molto più contenute di eventuale mobile fisso che permetta di stampare su carta 50x70cm. Detto ciò, una volta decise accuratamente le dimensioni delle stampe che verranno realizzate, un mobile fisso è sicuramente più comodo di una cassa mobile.