la prima foto

Probabilmente la prima fotografia della storia.
Joseph Nicéphore Niépce, 1826.

Continuiamo questo viaggio nel rapporto fra fotografia e verità, ricordando che il fine ultimo di questa serie di articoli è il tentativo di mettere in evidenza la difficoltà di dare una definizione univoca di cosa sia e cosa non sia la fotografia con la effe maiuscola. Che l’atteggiamento di sdegno nei confronti di certe pratiche fotografiche sia difficile da giustificare razionalmente, che tanto vale allora accettare in modo aperto le varie contaminazioni offerte oggi dalla fotografia contemporanea.

Prendiamo spunto da uno dei fatti peculiari descritti alla fine dell’ultimo articolo: le fotografie sono immagini ottenute a partire da un’interazione fra luce e materiale sensibile. Fu proprio questa constatazione evidente che dettò il nome fotografia. L’etimologia del termine viene spesso citata per decidere cosa sia e cosa non sia fotografia. Prima di discutere in pratica se l’interazione fra luce e materia permetta di tale definizione vale la pena fare alcune precisazioni sulla questione etimologica stessa.

 

L’origine del termine fotografia è nota a tutti, dal greco phos (genititivo photos) luce e graphia da graphos disegno, dipingo, rappresento.

fotogramma Talbot

Molte delle primissime fotografie sono “disegni fotogenici” di piante e foglie.
William Fox Talbot

Le prime fotografie della storia furono inventate appunto per trovare un modo per disegnare automaticamente con la luce, per fare fotocopie, riprodurre incisioni e in seguito riprodurre il reale. Questo atteggiamento riflette le aspettative di tutta un’epoca. L’idea che la fotografia sia un modo per riprodurre la realtà molto più veloce, preciso e fedele del bozzetto di un pittore.

Il termine disegnare poi non è casuale ed è dovuto probabilmente al fatto che le prime immagini fotografiche fossero monocromatiche -come il disegno appunto- e non a colori come la pittura. La fotografia quindi all’inizio viene inventata da qualcuno che cerca un metodo veloce e preciso per ottenere disegni sfruttando la luce del sole.

L’equivoco che ci proponiamo di confutare con tutta questa serie di articoli nasce proprio qui, alle origini della fotografia. Dall’idea che la fotografia sia una riproduzione estremamente fedele della realtà è derivata l’idea che sia una riproduzione completamente fedele della realtà, tanto da identificarla con la realtà stessa. E dall’idea che tale disegno sia parzialmente automatico è discesa quella che lo vuole completamente automatico.

Bisognerebbe ricordarsi che quello che si cercava di ottenere all’inizio, quello che è contenuto nell’etimologia del termine, era solo un disegno della realtà, non la realtà stessa, quindi sempre un oggetto, e un oggetto che inizialmente veniva appunto identificato con un disegno fatto a mano con straordinaria precisione. E l’etimologia non contiene nessun riferimento all’automaticità del disegno.

foglia Wedgwood

Un disegno fotografico forse antecedente alla nota fotografia di Niépce
Thomas Wedgwood

L’identificazione fra disegno di luce e realtà che esso rappresenta è avvenuta prestissimo, forse quasi in contemporanea con la nascita delle prime immagini fotografiche. Ma tutte le persone che storcano la bocca di fronte agli interventi di ritocco al computer o agli interventi pittorici, rifugiandosi nella definizione etimologica della fotografia per dire che “quelle” non sono foto, dovrebbero riflettere al fatto che in realtà la definizione originale della fotografia non è “copia con la luce” ma “disegno con la luce”. L’identificazione di fotografia e realtà, come l’idea che il disegno di luce avvenga in modo completamente automatico, seppure storicamente si siano radicate rapidamente, sono solo successive. Inizialmente si trattava di disegni, né più né meno.

Lo stesso Fox Talbot, fondando la prima rivista fotografica della storia, gli diede il nome The pencil of nature, ovvero la matita della natura. Certo, Talbot dovette specificare che le illustrazioni della rivista erano prodotte automaticamente dalla luce del sole e non a mano da un incisore. Automaticamente però nei confronti del lavoro manuale di un litografo, in realtà quell’automaticamente nasconde tutto il laborioso (nei confronti della fotografia odierna) procedimento del calotipo.

scopa Talbot

La porta aperta
William Fox Talbot

La ragione per la quale i primissimi fotografi insistevano sul fatto della completa somiglianza con la realtà e dell’automaticità del procedimento va interpretato in luce della realtà storica presente. Nessuno sapeva che cos’era una fotografia ed era necessario spiegare alla gente che non si trattava né di un perfetto disegno a matita, né di un’incisione, ma di qualcosa di molto più rapido e automatico. L’enfasi su queste due caratteristiche a mio avviso era necessaria all’epoca dei primi vagiti della fotografia, ma oggi dovrebbe finalmente essere abbandonata. Si può immaginare lo stupore dei primi uomini che hanno visto le prime fotografie, ma si può immaginare anche la confusione di fronte a questa sconvolgente novità. Attaccarsi oggi all’etimologia per derivare cosa sia o non sia vera fotografia è perlomeno anacronistico.

Fotografia, disegno di luce, è un termine inventato da persone che hanno cercato di inserire una novità assoluta in qualcosa di noto e comprensibile. Nella sua forma originaria in ogni caso non contiene né l’idea di identificazione diretta con la realtà né quella di automaticità pura.

Levati di torno i greci, che vengono sempre a mettere lo zampino dove ormai hanno poco a che fare, vedremo nei prossimi articoli di discutere meglio l’interazione fra luce e materiali sensibili.