Ritratto – Camera Obscura /it A blog/magazine dedicated to photography and contemporary art Fri, 22 Jan 2016 13:24:38 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.5.2 Ville Lenkkeri mi salva dal disgusto fotografico /it/2010/ville-lenkkeri/ /it/2010/ville-lenkkeri/#comments Sat, 16 Jan 2010 23:49:55 +0000 /?p=2464 Related posts:
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Ville Lenkkeri (1)
© Ville Lenkkeri
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Oggi ho rivisitato un bel po’ di esposizioni fotografiche delle gallerie Parigine. Era tanto che non lo facevo, in parte per impegni vari che mi hanno assorbito completamente, in parte per un senso di rigetto nei confronti delle mostre che descriverò nella prima metà di questo articolo. Per cominciare devo dire che ho fatto le cose per bene, basandomi sulla comoda agenda fotografica per gennaio di un fotocultore, e preparandomi una googlemap con tutti i segnaposti, in modo da ottimizzare il percorso. In realtà avevo un obbiettivo in testa, visto che oggi era l’ultimo giorno della mostra di Ville Lenkkeri alla Gallerie Particulière, ma me lo sono lasciato per ultimo, per gustarmelo del tutto.

Sono uscito in perfetto anticipo, ma dimenticandomi l’ombrello. Pessima cosa, visto che, dopo un paio di piacevolissime settimane, Parigi si è scossa di dosso il bel manto di neve che la ricopriva, trasformando il bel freddo pungente nella solita pioggia e grigiore invernale. Devo dire che la pioggia non mi dispiace, ma preferisco la neve dei giorni scorsi, senza contare che è più comodo per fare la spola fra una galleria e l’altra.

Ville Lenkkeri (2)
© Ville Lenkkeri
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Le fotografie proposte nelle prime gallerie che ho visitato oggi andavano dal mediocre al pessimo, tanto per quanto riguarda i contenuti che la realizzazione pratic. Sono quattro i punti ricorrenti su cui a mio vedere viene giù tutto il castello di carte di una fett ben rappresentativa della fotografia contemporanea.

La metà delle opere esposte ripercorrono idee trite e ritrite, che sembra quasi che una grande frazione dei fotografi al mondo non sappia fare niente di nuovo. Non dico che si debba per forza cercare la novità a tutti i costi, ma almeno si eviti di riscodellare esattamente lo stesso lavoro fatto precedentemente da almeno dieci fotografi, spesso più bravi dell’ultimo arrivato.

Gli statment che accompagnano le immagini sono spesso del puro blabla privo di senso, e -ancora peggio- le serie fotografiche sono esse stesse prive di senso, o perlomeno non hanno nessuna solidità. Quando si legge come capita spesso che “l’artista si interroga sul ruolo del corpo e i suoi rapporti con lo spazio, ricreando e trasfigurando la realtà in modo nuovo” e ogni foto della serie non è altro che un primo piano di un (brutto, vecchio e grasso) culo femminile con poggiato fra le mele un sacchetto di plastica, un martello e arnesi simili, viene veramente da chiedersi cosa ci sia di così geniale in tutto ciò, cosa ci sta insegnando il fotografo, cosa stiamo imparando, che senso ha tutto questo, e perché ci si interessa all’arte contempornea.

Ville Lenkkeri (3)
© Ville Lenkkeri
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Molti fotografi fanno un uso smodato di effetti speciali. Sono un grande amante delle manipolazioni e delle trasfigurazioni delle immagini, ma devono avere un senso, essere a servizio dell’immagine. Se gli effetti speciali possono stupire un pubblico inesperto, basta avere un minimo di cultura fotografica per sapere che sviluppare in cross-processing una pellicola o applicare un filtro di Photoshop, se non vi è un fine concettuale o puramente estetico poco importa, di per sé non aggiunge assolutamente alcun valore all’immagine.

Le stampe fanno troppo spesso veramente schifo. Cosa ancor più sorprendente oggi giorno quando le tecniche di stampa digitale attuali permettono di ottenere risultati fantastici con uno sforzo minimo e un investimento contenuto. Nella maggior parte dei casi la colpa è di un ingrandimento eccessivo ( si veda in proposito la critica alla mostra di la Chapelle è la recensione di Paris Photo), quando basterebbe stampare più piccolo o rilavorare l’immagine, o di un uso improprio di Photoshop (fra tutti gli orrori che rientrano in questa categoria, il più ricorrente è un osceno eccesso di sharpen).

Tutto ciò è piuttosto scontato, nel senso che rientrano in queste quattro categorie molti errori che prima o poi hanno fatto un po’ tutti i fotografi, a volte anche in buona fede. Quello che è incredibile però è che nella quasi totalità delle gallerie fotografiche i lavori di qualità siano molto più rari della paccottaglia senza valore, tanto da sentirmi ormai quasi completamente disgustato dalle mostre, dalle esposizioni, dalle gallerie e addirittura dalla fotografia contemporanea. Sintomatico di questo rigetto fotografico il fatto che oggi, se non fosse per le foto di Ville Lenkkeri, l’unico lavoro che mi è veramente piaciuto non è fotografico, ma piuttosto le favolose sculture di Claire Morgan esposte alla Galerie Karsten Greve. Il tutto è ancora più surreale quando se si pensa che di fatto esistono moltissimi fotografi il cui lavoro si posiziona fra un livello più che buono e uno sensazionale sensazionale, tanto e mi chiedo come facciano i galleresti a selezionare tali ignobili schifezze.

Ville Lenkkeri (4)
© Ville Lenkkeri
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Per fortuna, come a Photoquai 2009, ogni tanto ci si imbatte in qualche lavoro fotografico che ribalta completamente lo scenario semidepressivo che ho descritto nella prima metà di questo articolo, ed è il caso appunto di Ville Lenkkeri, la cui mostra alla Gallerie Particulière mi soddisfa completamente su ogni fronte.

A prima vista, prima ancora di sapere di cosa trattano le immagini, si viene subito incantati dalle fotografie stesse. Potrà sembrare banale come affermazione, ma siamo talmente abituati alla fotografia concettuale, alle fotografie che non dicono niente di niente se non si conosce l’idea che gli sta dietro, che ci siamo un po’ dimenticati del piacere di una bella fotografia in sé e di per sé. Nessun effetto speciale, nessuna aggiunta, semplicemente i luoghi, le persone e gli oggetti visti attraverso gli occhi di Ville Lenkkeri. Inquadratura sobria ed elegante, semplice e pulita. Il tutto sta nella bellezza dei paesaggi, nell’espressività dei personaggi, nel sapiente uso da parte del fotografo della paletta dei colori, della luce, degli spazi e dei volumi. In generale non sono un grande amante dei fotografi che usano il grande formato, o questo stile posato, statico e curato di fotografare, per quella che ho chiamato la maledizione di Ansel Adam, ma qui siamo lontani anni luce dalle immagini stereotipate e fini a se stesse, ogni fotografia è una pura e semplice estasi visiva. Senza dimenticare che le stampe, 100x150cm, sono magistralmente realizzate. Insomma, tutto quello che -nonostante come dicevo ce lo siamo un po’ dimenticati- costituisce la fotografia, in una delle sue accezioni più semplici e pure.

Ville Lenkkeri (5)
© Ville Lenkkeri
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Restando su questo piano di pura percezione e piacere visivo, innanzitutto mi piacciono i paesaggi nelle fotografie di Ville Lenkkeri. Anche se siamo nell’altro emisfero, riconosco al primo colpo d’occhio, ed è una delle ragioni per cui sono venuto, la luce particolare dei territori subpolari, la stessa del ricordo indelebile dei miei viaggi in Antartide. Lo stesso cielo, le stesse sensazioni, e per certi versi le stesse montagne e forse la stessa gente. I ritratti li trovo anche loro splendidi, fantastici (nel senso proprio di fantasia) e immaginari. Basta citare la persona nella casa dai muri di bottiglie di vetro, che lasciano filtrare la luce esterna, per capire cosa voglio dire.

In un secondo momento, e solo in un secondo momento, si può andare a leggere la spiegazione della mostra. Si impara allora che Ville Lenkkeri ha scattato le sue foto nelle isole Svalbard, e più in particolare in una remota isolata località di minatori dove non ci sono nemmeno le strade, dettaglio che ha dato il nome allo splendido libro che racconta questa storia: the place with no roads. Queste comunità di minatori si sono formate nel dopoguerra in luoghi talmente isolati, che le compagnie di sfruttamento minerario hanno iniziato a proporre contratti non-stop della durata di due anni. In una situazione di isolamento totale come questa è successo che il denaro ha perso peso e significato: gli operai ricevevano la paga alla fine dei due anni di lavoro, nel frattempo tutto ciò di cui i minatori potessero aver bisogno veniva fornito direttamente dalle compagnie di sfruttamento minerario, che scalavano poi le spese dal totale. Agli occhi di Ville Lenkkeri tutto ciò è parso come la rivelazione di una società utopica e perfetta, una società che non sia inquinata dal denaro, dove tutti sono uguali e le gerarchie sono completamente assenti, dove la gelosia, la discriminazione e il crimine non esistono, dove tutto è basato sull’aiuto reciproco e l’amicizia.

Ville Lenkkeri (6)
© Ville Lenkkeri
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Basterebbe quanto appena detto per giustificare completamente il valore concettuale di questa serie di fotografie. Documentare la realtà di un paese ai confini del mondo che si è spinto al di là del socialismo, costituendo una realtà unica al mondo, realizzando un sogno di armonia e pace. Ma non è finita qui. In primo luogo Ville Lenkkeri si interroga esplicitamente sull’oggettività e il ruolo delle proprie fotografie. Quando è arrivato la prima volta sulle isole Svalbard la comunità che fotografa era già quasi completamente in declino, se non del tutto. Come è possibile allora rendere in immagini, oggettivamente e senza snaturarla, una realtà ormai scomparsa? In secondo luogo, Ville Lenkkeri si è reso conto con prepotenza di come è cambiata la sua percezione dei luoghi mano a mano che tornava sull’isola. Se originariamente aveva percepito una comunità idilliaca e felice, durante i suoi viaggi successivi Ville Lenkkeri ha colto una realtà differente: i minatori accettavano contratti di due anni unicamente perché spinti dalla miseria del loro paese d’origine, l’isola era un puro e semplice luogo di lavoro, l’assenza di strade escludeva ogni possibile via d’uscita, la vita quotidiana era scandita dagli incidenti nelle mine e dal rigore delle condizioni climatiche. Qual’è all’ora il peso dei preconcetti e delle illusioni di un fotografo sulla realtà che vorrebbe documentare in modo oggettivo?

Probabilmente Ville Lenkkeri sa bene che la risposta sta nel mezzo, che al mondo esiste tanto l’utopia che la dura realtà, che la vita nelle zone polari è regolata tanto dal calore umano che dal freddo dei venti invernali. Come probabilmente sa bene che la fotografia non è né puramente soggettiva né può raccontare la pura verità, ma è allo stesso tempo documentaria e personale, racconto di un luogo e di come il fotografo l’ha visto e vissuto. A proposito di queste fotografie delle Svalbard però Ville Lenkkeri lascia tutte queste domande aperte e rimane pure un po’ di spazio per la fantasia:

Nella ricerca di qualcosa di inesistente, è la ricerca del sogno che conta.

Questa raccolta di fotografie è un inno a tutti gli stili di vita, ed è dedicata ai sogni.

Questa mostra allora, la voglio ricordare proprio così.

Ville Lenkkeri (7)
© Ville Lenkkeri
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Stein Café Salisburgo, di Gabriele Rigon /it/2009/gabriele-rigon/ /it/2009/gabriele-rigon/#respond Mon, 11 May 2009 05:30:16 +0000 /?p=1716 Related posts:
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Gabriele Rigon

Scrivendo a proposito delle fotografie di Gabriele Rigon è inevitabile pernsare subito alle eleganti foto di glamour e di nudo, inno alla bellezza femminile allo stato puro, modelle stupende, così belle da sembrare quasi ultraterrene, sguardi ammalianti, forme perfette. Il tutto in un riuscitissimo bianco e nero, classico e raffinato. Nell’articolo che ha scritto per Camera Obscura però Gabriele Rigon ha preferito parlarci di qualcosa che mi sarei meno aspettato: la storia di un ritratto che gli è particolarmente caro.

Testo e fotografie seguenti di Gabriele Rigon.

 

Gabriele Rigon
© Gabriele Rigon

Faccio fotografia per passione, il mio vero lavoro è di essere un pilota di elicottero per l’Esercito Italiano. Ho cominciato a scattare fotografie durante le missioni militari di pace che mi hanno portato in molte delle zone calde del nostro pianeta. Cresciuto pertanto come fotografo di reportage, le mie immagini sono state una testimonianza visiva dei recenti conflitti quali la Namibia, il Kurdistan, l’Albania, la Somalia il Libano, la Bosnia, l’Iraq e l’Afghanistan.

Le due immagini di reportage che accompagnano l’intervista sono state realizzate a Kabul, durante una mia recente missione La prima foto è una mamma con i suoi figli presso un piccolo ambulatorio medico realizzato dai soldati italiani, la seconda immagine è scattata in una strada di Kabul. È un immagine che racconta a modo suo la sensualità delle donne di Kabul.

Gabriele Rigon
© Gabriele Rigon

Negli ultimi quindici anni, quando sono in Italia, i miei interessi fotografici si sono spostati allo studio del corpo e della bellezza femminile, questo credo faccia parte di un percorso in cui ogni fotografo cerca un proprio genere ed uno stile. Devo anche confessare che rispetto al reportage il genere glamour è senz’altro più accattivante.

Queste immagini rappresentano perfettamente il mio stile. La prima fotografia che accompagna l’articolo è stata realizzata in una semplice camera d’albergo, e la modella si stava riposando mentre io scaricavo le foto. L’immagine qui sotto invece è stata realizzata su una spiaggia al tramonto, anche in questa foto mi piace la semplicità nella posa, ed è esattamente quello che cerco nella fotografia. Qualcuno ha scritto che cerco sempre l’attimo più insignificante, per scattare le mie foto, ma è anche vero che è proprio in quell’attimo che si riesce a ritrarre la naturalezza della modella.

Gabriele Rigon
© Gabriele Rigon

Dopo anni di nudo artistico sto cercando un nuovo stile, sempre legato alla bellezza femminile, alla sensualità, ma non necessariamente nudo, ecco il motivo per cui in questo breve articolo vorrei parlare di ritratto.

Di solito non lavoro in studio, utilizzo maggiormente locations occasionali, e se ho a disposizione una modella cerco di creare immagini semplici lasciandomi coinvolgere dalla situazione del momento, come per esempio questi scatti che ho realizzato a Salisburgo con una carissima amica di nome Tanja che ha posato per me.

Ho conosciuto Tanja durante un lavoro fotografico in Ungheria, lei non è una modella ma era l’assistente di un fotografo Austriaco. Mi meravigliai di scoprire che non si era mai fatta fotografare, e quasi per scommessa le chiesi se potevo realizzare con lei alcune fotografie per un libro.

Uno dei posti più belli in cui ho fotografato Tanja è dove lei vive e lavora, Salisburgo.

Gabriele Rigon
© Gabriele Rigon

Salisburgo è una città dalla singolare bellezza, conosciuta universalmente come “la Città di Mozart”, con il suo tradizionale Festival e i suoi significativi eventi Teatrali raccoglie ogni anno un milione di turisti da tutto il mondo. Ho avuto la fortuna di trascorrere a Salisburgo un paio di giorni ospite a casa di Tanja, e ho voluto approfittarne per realizzare qualche scatto di moda, semplicemente passeggiando per le vie di Salisburgo, con la mia macchina fotografica e l’elegante bellezza della mia modella. È davvero emozionate poter scoprire le bellezze della città, guidato dalla mia musa Tanja che, oltre a farmi da guida turistica, è anche la mia modella.

Purtroppo il tempo non era dei migliori e un improvviso temporale estivo ci ha costretto a cercare riparo da qualche parte. I posti non mancano, Salisburgo è piena di Caffetterie storiche, di ristoranti assai conosciuti, ma uno in particolare è davvero fantastico, ed è il famoso “Stein Café” dell’omonimo Hotel che, con la sua terrazza all’ultimo piano di un palazzo, sovrasta l’intero centro storico della città con una veduta mozzafiato.

Gabriele Rigon
© Gabriele Rigon

Si accede allo “Stein Cafè” attraverso l’ascensore dell’hotel, il locale, oltre ad avere una parte al coperto, offre la possibilità di accedere ad una terrazza con dei tavolini da cui è possibile ammirare un paesaggio meraviglioso.

Purtroppo… o per fortuna, la terrazza è spazzata dalla pioggia e dal vento, per cui siamo riusciti a prenotare un tavolino all’interno, e dopo aver ordinato qualcosa di caldo, mi è venuta l’idea di fare un paio di scatti. Ho chiesto a Tanja di andare in bagno a mettersi un abito bianco lungo, e nel frattempo ho chiesto al direttore del locale di poter fare un paio di scatti a Tanja mentre era seduta al tavolino. Lo stesso direttore, sorpreso della mia richiesta, ma ha detto che avrei dovuto chiedere in anticipo tale autorizzazione al direttore artistico dell’hotel Stein, ma quando ha visto arrivare la mia modella con un abito simile ad una sposa, non ha avuto altre parole, mi ha solamente chiesto discrezione, e di essere molto rapido.

Gabriele Rigon
© Gabriele Rigon

Fantastico, ero riuscito ad ottenere un permesso di tre minuti per pochi scatti, ed ho cominciato con un paio di ritratti semplici mentre Tanja beve il caffè. Ho poi pensato di uscire sulla terrazza e fotografarla attraverso il vetro, per dare l’idea di foto rubate.

Negli scatti di questa breve sequenza ci sono gli elementi che volevo, la sensualità di Tanja, ma anche l’idea di relax, dei piacere, lo stesso piacere che si prova quando si bene un buon caffè.

Sono stati tre minuti davvero intensi, con pochi gesti mimati attraverso il vetro ho chiesto a Tanja di posare come volevo io, il risultato è stato davvero affascinante. Ho raccolto un’intera sequenza in cui la bellezza e la sensualità di Tanja hanno fatto il resto.

Tutto ciò mi ha fatto capire che nessuno ha il coraggio di dire di no di fronte ad una elegante modella e l’obiettivo di un fotografo, dico solamente che nel pomeriggio, con la stessa faccia tosta, sono riuscito a fotografare Tanja nella “concierge” dell’hotel “Sacher “ con tanto di vicedirettore che mi suggeriva le stanze storiche come locations per le foto.

Gabriele Rigon
© Gabriele Rigon

Il giorno successivo sono tornato con Tanja allo “Stein Cafè”, ho regalato al direttore un CD con le foto ritoccate in alta risoluzione, inutile dirvi che mi ha offerto da bere e mi ha detto che avrei potuto fare altre foto quando volevo.

Ho scelto queste foto per raccontare questa semplice storia, ritratti di Tanja mentre mi osserva con la tazza in mano, o mentre parla con il cameriere. Sembrano quasi ritratti rubati, anche se il tutto è costruito come descritto nel testo.

Le fotografie sono digitali, scattate in bianco e nero, per restituire quel tocco di eleganza delle tipiche immagini degli anni sessanta, gli evidenti riflessi del vetro non sono un disturbo, anzi, danno una forza maggiore all’immagine, un fascino particolare.

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Desirée Dolron e l’illusione dell’amore /it/2008/xteriors-desiree-dolron/ /it/2008/xteriors-desiree-dolron/#comments Thu, 18 Sep 2008 19:44:22 +0000 /?p=573 Related posts:
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Desiree Dolron
Xteriors
© Desirée Dolron

È da quando ho iniziato questa serie di articoli dedicati a foto speciali che ho intenzione di parlare di Desirée Dolron e dei suoi ritratti della serie Xteriors.

Fare classifiche è stupido e non porta lontano, in nessun campo e nemmeno in fotografia. Ma se fossi obbligato a scegliere 10 foto di fotografi contemporanei che porterei su un’isola deserta alla fine del mondo, sicuramente Desirée Dolron sarebbe nella selezione. Mi innamorai a prima vista delle sue fotografie, la prima volta che le vedi pubblicate su Zoom, ed ebbi poi il piacere di contemplare le bellissime stampe quando vennero esposte qui a Parigi, splendido modo per consolidare quello che sarà un sentimento stabile e duraturo.

Di tutti i suoi lavori la serie Xteriors è sicuramente la mia preferita, seguita da vicino da Gaze, magici ritratti subacquei. I due portfolio Te di todos mi sueño su Cuba e Exaltation sulle pratiche religiose sono interessanti ma non all’altezza delle magnifiche due altre serie di fotografie. Di Xteriors le mie preferite sono senza dubbio l’albero (di cui non riesco ancora a capire il segreto di tanta bellezza) e i ritratti femminili in primo piano. Fra queste immagini è difficilissimo scegliere, fare una classifica, prendere una foto per farne un articolo. Si va sulle finezze, la perfezione di un viso, la bellezza di una ragazza, perché la purezza della composizione e della luce è presente in tutte le immagini.

Ma alla fine scelgo, anche se un filo a malincuore, ed è la fotografia che accompagna questo articolo, è questa per me la più bella delle fotografie di Desirée Dolron.

Mi rendo conto che in questo caso non è solo la foto in se stessa, visto che ormai è la perfezione totale, ma il soggetto a determinare la scelta finale. Dal punto di vista tecnico niente da dire. Perfezione totale, basta provare a fare un ritratto dello stesso sapore per rendersi conto di quanto sia difficile ottenere quella luce, quella cromia così riuscita, quella resa morbida dei volti. Perfezione assoluta.

La luce infatti è fantastica, la composizione classica e riuscitissima. I giochi di chiaro e di scuro disegnano i volumi del viso, dei capelli e dei vestiti come nei più bei quadri antichi. I colori della fotografia sono tenui e lividi, il biancore della pelle di una purezza sovraterrena, la pettinatura misteriosa e perfetta. I tratti del viso sono sottilissimamente modificati dal ritocco, mai palese: le sopracciglia e le ciglia sono inesistenti, gli occhi sono più grandi, il collo più lungo. Le forme del viso sono lisce, levigate ed armoniose, la pelle morbidissima. L’espressione del viso è misteriosa, assorta, sfuggente, concentrata, malinconica, sovraterrena. Cosa chiedere di più dal punto di vista tecnico ad una fotografia? Qui si tratta di una di quelle immagini che ti fanno venir voglia di buttare nella Senna tutte le tue macchine fotografiche e obiettivi e andare a fare altro.

xteriors
Xteriors, dettaglio.
© Desirée Dolron

Al di là dell’aspetto puramente fotografico, a questi livelli, è quindi qualcosa in più che ti fa amare incodizionatamente quest’immagine. È la bellezza della ragazza, il modo in cui ti guarda. Sono le sensazioni che ti fa nascere in petto. Senti in qualche modo di amarla. In modo astratto, fragile e lontano, ma sempre di amore si tratta. Lo so benissimo che le sensazioni vere sono quelle della vita reale, che l’amore va al di là di un bel viso e si basa soprattutto su quello che due persone condividono. Ma in italiano mancano due parole distinte per indicare questi due sentimenti, uno reale e l’altro illusorio. E pur sempre di amore si tratta.

Esiste comunque un sentimento, una pulsione dettata unicamente dalla bellezza purissima, che è nota a tutti quelli che abbiano mai sognato. Come non amare infatti Scarlett Johansson in Lost in translation quando Bill Murray le sussurra all’orecchio che non lascerà la distanza separarli? Come non innamorarsi follemente di 章子怡 (Zhang Ziyi) quando, in 我的父亲母亲 (the road home), appena ventenne, corre fra gli alberi tutti illuminati, le foglie gialle che le splendono intorno in uno sfavillio di luci e colori? Come non capire lord Evandale de le roman de la momie di Théophile Gautier, che non si sposerà mai perché innamorato della mummia della bellissima fanciulla egiziana vissuta migliaia di anni prima? Come non sentirsi innamorati di Boccadirosa, con cui se ne parte la primavera?

Di fronte a questa fotografia di Desirée Dolron sento in petto gli stessi sentimenti confusi e contraddittori, la stessa gioia, tristezza, euforia, dolore, felicità. Lo stesso senso di amore. Gli stessi sentimenti certo irreali ma pur sempre bellissimi.

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