Steven Nestor – Camera Obscura /it A blog/magazine dedicated to photography and contemporary art Fri, 22 Jan 2016 13:24:38 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.5.2 Un fotografo per caso, di Steven Nestor /it/2012/fotografo-per-caso-steven-nestor/ /it/2012/fotografo-per-caso-steven-nestor/#comments Wed, 12 Sep 2012 06:16:01 +0000 /?p=7870 Related posts:
  1. Il Parco, di Steven Nestor
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Fotografia di Steven Nestor (11)
© Steven Nestor
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Testo di Steven Nestor, foto di Michael e Steven Nestor.

 

Che si tratti del trascorrere degli anni, dei luoghi esotici o dell’estetica che le caratterizza, queste immagini scattate da mio padre quando aveva 43 anni sono diventate una testimonianza toccante del viaggio di una persona che stava attraversando il mondo per un breve periodo di tempo. Oggi, con una maggiore diffusione della fotografia tramite siti come Flickr e la nostalgia fabbricata di Hipstamatic, le immagini di una persona che faceva foto ben prima dell’arrivo dell’epoca digitale e di internet assumono un’importanza particolare. Queste immagini analogiche venivano scattate per il mondo domestico e in più non venivano manipolate. Venivano scattate semplicemente quando se ne presentava l’opportunità. L’idea che un giorno avrebbero potuto essere accessibili ad un pubblico globale era semplicemente al di là dell’immaginazione.

Fotografia di Steven Nestor (12)
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Per cominciare è necessario tenere in considerazione che mio padre non era fotografo nel senso proprio del termine. In pratica la pubblicazione di queste immagini automaticamente eleva e ridefinisce la persona dietro la macchina fotografica come fotografo, sebbene lo sia stato solo per un breve periodo di otto mesi della sua vita. Che io sappia queste sono le uniche immagini in esistenza, sia prima che dopo il periodo in esame.

Fotografia di Steven Nestor (10)
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Di dimensioni 90x90mm, le stampe originali furono tenute in due album fotografici con date e cronache scritte a mano sul retro delle stampe o su una legenda a parte. I negativi furono immagazzinati separatemene in soffitta in una scatola, sempre nelle buste originali del laboratorio. Lo scopo del mio lavoro con questo archivio personale è di raggruppare tutte le immagini in un corpo (o testimonianza) unico e di ri-presentarle e quindi offrire un rilettura e recontestualizzazione. Chiaramente non è dello stesso calibro del lavoro di un’artista come Vivian Maier, così cosciente del ruolo della fotografia e del fotografo. Questa piccola (ri)presentazione di circa 130 fotogrammi è ben diversa in scopo, abilità, soggetto ed estetica. Lo scopo principale di questo fotografo era di registrare i suoi viaggi e spostamenti in paesi stranieri aperti solo a pochissimi visitatori. In oltre, il pubblico previsto per le immagini era la famiglia o degli amici stretti, con un vocabolario del tipo “guarda questo”, “era”, “mi hanno detto che” e via dicendo.

Fotografia di Steven Nestor (9)
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Entrambi questi album fotografici sono caratterizzati dalla natura guidata delle fotografie all’interno dei confini del viaggio. Prima c’è il fotografo come turista nell’Europa sovietica e poi come giovane tenente nel Cipro del Nord in turno di servizio con l’ONU, dove la documentazione fotografica fu guidata da dettami degli obblighi militari e dalle escursioni programmate. Entrambi i viaggi hanno implicato l’attraversamento di confini e frontiere appena nati dai turbolenti avvenimenti recenti e dove la storia non aveva ancora deciso dove formare le frontiere degli stati.

Fotografia di Steven Nestor (8)
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È anche importante sapere che le immagini presentate sono per la maggior parte notevolmente più grandi rispetto agli originali e non tagliate (i bordi delle stampe del laboratorio coprono l’estremità dell’immagine sul negativo). Sono anche più “ricche” in confronto alle stampe originali del laboratorio, prive di rigore, anche se il restauro è stato limitato al minimo (alcune immagini in bianco e nero e a colori vennero stampate a mano nel 2007). Questo lavoro – di cui qui viene presentato solo un campione – è una revisione di un corpo di immagini più grande, benché i titoli e l’ordine siano rimasti fedeli all’originale.

Fotografia di Steven Nestor (7)
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Si noti anche l’uso della fotografia a colori durante il primo viaggio. In seguito ai risultati ottenuti, ci fu la deliberata intenzione di abbandonare il bianco e nero durante il turno di servizio militare. Perché? Venivano percepiti “meglio” i risultati a colori così come l’arrivo del digitale è stato visto come un “progresso”? Ho anche notato che mentre il periodo di Cipro viene supportato con documenti e lettere, l’ordine delle immagine nel loro album fotografico non è cronologico, e i mesi sostituiscono le date precise del giro europeo. Forse le foto monocromatiche invitano alla parola scritta più che quelle a colori.

Fotografia di Steven Nestor (6)
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Gli anni e luoghi in questione sono anche interessanti per quanto riguarda i soggetti presenti o al contrario assenti. La Guerra Fredda era diventata calda in Vietnam, Israele aveva recentemente sconfitto i suoi vicini nel primo dei tanti conflitti che sarebbero seguiti e il Nord Irlanda stava piano piano scivolando verso una protratta guerra intestina. Per esempio, dove sono in queste immagini le tracce della Primavera di Praga del 1968? Dov’è quell’atmosfera pungente catturata così vivamente di Koudelka? Era passato solo un anno. Chi c’era in quel carro armato giordano, diventato poi un trofeo, quando fu distrutto? Erano passati solo un paio d’anni. Se non fosse per questi negativi ritrovati, questo fotografo sarebbe rimasto anonimo come l’equipaggio del carro armato.

Fotografia di Steven Nestor (5)
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A livello umano sarei anche curioso di sapere chi sono le poche persone presenti nei fotogrammi. Chi sono quelle donne sul ponte di Praga? Erano gente del luogo o viaggiatori come mio padre? Trovo anche interessante quel braccio pesante presente nella foto della Porta di Brandeburgo e la donna che attraversa per sbaglio il fotogramma a Minsk. E quegli uomini che passeggiano sulla strada di Beirut; Qual’era l’impatto della Guerra Civile sulle loro vite? Furono messi l’uno contro l’altro? Come ultima curiosità, mi piacerebbe sapere quanti fotogrammi esistono di questo fotografo per caso. Quanti fotogrammi aveva scattato, che sia per sbaglio o meno?

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Come estensione parziale e conclusione di questo lavoro, durante il mese di aprile del 2008 andai a Berlino con un provino dei negativi in bianco e nero della stessa città 39 anni prima. Volevo sapere se sarebbe stato possibile ritrovare le strade fotografate da mio padre. Il punto di partenza più ovvio era la Porta di Brandeburgo. Mi sono posizionato in un posto approssimativo dove fu scattata la foto originale, ma come prevedibile il luogo era notevolmente cambiato dopo la caduta del muro nel 1989: non più un luogo isolato tra due sfere ideologiche totalmente opposte. Comunque, “ri-fotografando” la Porta ero cosciente di non essere stato “fedele” all’originale. Invece di una giornata calda di Agosto, era un giorno piovoso, il luogo era affollato, urbanizzato e pieno di macchine.

Fotografia di Steven Nestor (3)
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Ciononostante, quando il giorno successivo arrivai sul Karl-Marx Allee, rimasi meravigliato da come fosse subito riconoscibile, proprio come nella foto originale. C’era ancora l’attraversamento pedonale e l’illuminazione pubblica. Perfino le lastre di pietra e le teche erano rimaste inalterate. Libero dalla folla e dalla pioggia, mi trovavo nello stesso punto a guardare un ambiente a malapena cambiato, ed attraverso una macchina fotografica molto simile (6×6) stavo affrontando un “mondo perso” che mi aspettavo essere completamente inaccessibile e assente. È difficile esprimere la sensazione profonda di quel collegamento visuale su una lastra di pietra qualsiasi, che era diventato all’improvviso una specie di nodo o punto di ingresso spazio-temporale. L’unica modifica significativa erano gli alberi ormai cresciuti. Dopo, mentre consideravo questa situazione imprevista, mi venne in mente una frase di Camera Lucida, dove Barthes descrive l’impressione che una foto del fratello minore di Napoleone aveva avuto su di lui: “Sto guardando gli occhi che guardarono l’imperatore” (Barthes, 1981: 3).

Fotografia di Steven Nestor (2)
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Dodici anni dopo che queste foto furono scattate, non lontano da Beirut, fu il fotografo stesso a venir preso da uno dei tanti vortici eterni del Libano. E mentre il titolo il fotografo per caso può suonare come una esagerazione – o addirittura persino ironico – le decisioni sull’uso del colore e sulla composizione alla fine avvicinano veramente mio padre al titolo di “fotografo”, per quanto per un periodo di breve durata .

 

Si visiti il sito di Steven Nestor per ulteriori informazioni e fotografie.

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Il Parco, di Steven Nestor /it/2012/phoenix-park-steven-nestor/ /it/2012/phoenix-park-steven-nestor/#comments Tue, 07 Aug 2012 09:28:18 +0000 /?p=7809 Related posts:
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Testo e foto di Steven Nestor.

 

Il Phoenix Park di Dublino, più piccolo del Bois de Boulogne di Parigi, ma più grande del Central Park di New York, è uno dei più grandi parchi pubblici al mondo. Creato nel 1662 da re Carlo II per la caccia al cervo, sopravvive pressoché intatto, miracolosamente, da 350 anni. Un fatto tanto più notevole se si considera l’atteggiamento a volte un po’ “distaccato” della Repubblica Irlandese nei riguardi delle sue bellezze naturali e dei siti storici (in particolare quelli del tempo dell’Impero Britannico). Sia giusto o no, è stata avanzata all’Unesco la proposta di dichiarare Phoenix Park patrimonio dell’Umanità.

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Per gran parte della mia vita, comunque, nel parco non sono entrato se non in auto quando avevo necessità di attraversarlo, oppure quando volevo visitare lo zoo situato presso l’ingresso principale. Solo nel 2007 cominciai ad andare nel parco e ad esplorarlo. Questo ritardato interesse si spiegava col mio appartenere a quella generazione di Irlandesi che per mentalità erano portati a rivolgersi verso l’estero, snobbando (non sempre senza ragione) quasi tutto quello che avevano a disposizione in patria. Passati cinque anni da quelle mie prime visite, i caratteri e la dimensione del parco continuano a colpirmi. Nonostante sia molto vasto e a tratti selvaggio, è possibile sentire e vedere il parco semplicemente come uno spazio verde aperto, con aree dedite alle più’ svariate attività, e come un luogo di scambi (non sempre leciti). Nella sua immensità, offre pace al viandante e possibilità di fuga dalla città frenetica rinchiusa entro le sue mura perimetrali. Dalla maggior parte del parco, Dublino si vede poco o niente, mentre dominano due maestose strutture di religione e di impero, la Croce Papale e il monumento a Wellington. Se, per scelta, non mi sono dedicato agli altri manufatti del parco, ebbene, questi due non è veramente possibile ignorarli.

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Cominciai nel 2008 a esaminare il monumento di Wellington. Coi suoi 62 metri di altezza, l’obelisco ricorda un irlandese di nascita, il primo Duca di Wellington, con le sue vittorie di Waterloo e dell’India. È il più grande obelisco d’Europa, e sarebbe stato ancora più alto se il finanziamento pubblico non fosse venuto meno. Circondato da un ampio spazio aperto, è il naturale semaforo e il punto di smistamento per escursionisti solitari e di gruppo, per gente dedita a picnic e a partite di calcio. Attira i cultori di storia e di architettura, ma – io penso – sono in maggior numero quelli che ci vanno perché è una enorme struttura con gradini sui quali sedere ed un basamento sul quale arrampicarsi. Se a vedere l’obelisco ero abituatissimo, fotografarlo è stata invece una sfida, in quanto mi ha richiesto molta concentrazione per sviluppare una nuova impressione e dimenticare la vecchia. Dovetti poi estendere al resto del parco la de-familiarizzazione ma questo fu, in qualche modo, più facile, almeno all’inizio, dato che ampia parte rappresentava per me solo il nome di un luogo.

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Quando Papa Giovanni Paolo II visitò l’Irlanda nel 1979, disse messa al Phoenix Park, dove era presente un terzo della popolazione irlandese prevalentemente cattolica. C’ero anche io, giovanissimo. Alzarsi con mio padre prima dell’alba e poi il treno per Dublino – questi i miei ricordi – e al parco gli scouts che convogliavano le ondate senza fine dei fedeli in arrivo. E qualcuno che sveniva, e la radio sintonizzata per sapere i movimenti del Papa. E il mio shock quando vidi la quantità gigantesca di escrementi nelle fosse sottostanti ai bagni provvisori. L’Irlanda era una nazione povera, con strade cattive e scarpe fruste, ma quel parco e l’Irlanda erano in quel momento al centro del mondo e ancora oggi una enorme croce bianca domina una collinetta nel punto dove era collocato l’altare. Oggi l’Irlanda non ha più l’ambasciatore del Vaticano, e la Chiesa Cattolica sembra implodere in una agonia inesorabile. Ma alla base della croce un mazzo di fiori è spesso presente, offerto dai riconoscenti Polacchi di Dublino.

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Al di là di queste due maestose strutture, circa un terzo del parco è coperto da alberi tipo quercia, faggio, ippocastano, con una quantità di habitat naturali. Dato che in Irlanda la foresta, specie di latifoglie, è rara, tutta questa varietà, sia in bosco ceduo, sia in nodosi esemplari isolati, mi attrae e mi affascina particolarmente. Circondata come è da una città di circa un milione di abitanti, c’è qualcosa di inaspettato in quella presenza, così come nel vagare dei cervi. Così come c’è qualcosa di strano nella tipologia di quegli alberi, che uno si aspetterebbe di trovare lontano dalla città. Nella mia esplorazione del parco, all’inizio prevedevo di scattare in molti luoghi diversi, così da costruire una specie di mappa del parco. Invece, malgrado la dimensione del parco (o forse proprio per questa) sono spesso ritornato negli stessi punti a ri-fotografare lo stesso albero.

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Il Parco ha significato, per me, immergermi nella vastità del suo spazio e cercare di trovare un senso nel suo volume al di là di storia e statistiche. Piuttosto che sull’ultimissimo tipo di fotografia digitale, ho scelto di andare sull’analogico (pellicole e formati). È stato usato in prevalenza un formato medio (quadrato), ma mi è anche capitato di usare pellicole scadute da tempo, una vecchia pellicola 126 e una macchina Vrede senza obbiettivo. Sentivo che tutto questo mi avrebbe aiutato ad ancorare la mia visione e il mio lavoro a questo parco vecchio di 350 anni. Usare queste tecnologie fotografiche obsolete mi ha portato all’estremo opposto delle frontiere tecnologiche. Il risultato: una rappresentazione a mio senso più autentica di questo enorme spazio storico. Non ho tentato di nascondere la mia ombra in qualche immagine, così lasciando una piccola traccia della mia personale presenza in questo lavoro. Inoltre, ho scelto di produrre qualche immagine sfuocata, anche per riflettere la mia personale miopia (oltre che per scelta estetica).

Fotografia di Steven Nestor (2)
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Questo lavoro ha voluto dire mettere in memoria la foresta e tutto ciò che nel produrlo ho incontrato. Andare sul terreno ed essere completamente assorbito dal luogo e dal momento, anche se il Phoenix Park stesso sempre sarà più grande nel confronto con il Parco.

 

Per ulteriori informazioni e altre fotografie si visiti il sito di Steven Nestor.

Fotografia di Steven Nestor (1)
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