foro stenopeico – Camera Obscura /it A blog/magazine dedicated to photography and contemporary art Fri, 22 Jan 2016 13:24:38 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.5.2 Pinholeswap 2011: “Culo” /it/2011/pinholeswap-2011-culo/ /it/2011/pinholeswap-2011-culo/#comments Fri, 11 Feb 2011 16:15:38 +0000 /?p=4356 Related posts:
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Fabiano Busdraghi culo
Culo - Zoneplate 6x6cm su carta Hahnemühle 15.5x15.5cm ed 15 + 2 pa
© Fabiano Busdraghi
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Come ogni anno da un po’ di tempo a questa parte (2008, 2009 e 2010) partecipo al Pinholeswap, uno scambio di auguri natalizi sotto forma di fotografie stenopeiche.

Molto spesso fra le foto ricevute si annoverano foto stenopeiche di babbo natale, nanetti, pini agghindati, statuine di renne e tutte le altre possibili rappresentazioni dell’iconografica natalizia. Personalmente non amo questo genere di fotografie e ho sempre avuto voglia di mandare qualcosa di un pelo dissacrante.

Mi son finalmente deciso e quest’anno ho spedito una foto che si intitola “culo”, cosa che dovrebbe esser sufficiente ad indicarne il contenuto. In realtà non è che sia una fotografia molto dissacrante, ma non volevo offendere nessuno.

La fotografia è stata scattata a mano libera con una Canon Mark-s II su cui ho installato un zoneplate e un flash settato sulla massima potenza, visto che una delle caratteristiche che più mi attirano nello zoneplate è la luminosità e gli aloni che si creano nelle zone delle alte luci.

Come al solito una certa cura è stata posta nella stampa e nella preparazione della busta, anche se quest’anno non mi sono lanciato in nessuna particolare tecnica alternativa come avevo fatto gli anni precedenti. La stampe è una semplice getto d’inchiostro sulla Hahnemühle Museum Etching 350g 100% cotone che ho verniciato con due mani di una lacca protettiva lucida della Tetenal, in modo che non si possa graffiare la stampa e soprattutto che i neri vengano fuori belli saturi e brillanti, visto che non amo la resa delle carte opache. Stampa 6x6cm su carta 15.5×15.5cm in edizione di 15 esemplari più 2 prove d’artista.

Per quanto riguarda le foto ricevute, devo dire che sono abbastanza deluso, al punto che non credo partecipare l’anno prossimo.

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Pinholeswap 2010 e l’albume come resina per stampe su carta acquarello /it/2010/pinholeswap-albume/ /it/2010/pinholeswap-albume/#comments Wed, 03 Feb 2010 19:24:02 +0000 /?p=3613 Related posts:
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Fabiano Busdraghi pinholeswap 2010
Fotografia zoneplate su carta acquarello albuminata
© Fabiano Busdraghi
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Come nel 2009 e nel 2008, ho ancora una volta partecipato al pinholeswap, uno scambio di fotografie stenopeiche organizzato ogni anno durante il periodo natalizio.

Personalmente ho inviato una foto zone plate scattata alla Defense e stampata a getto d’inchiostro su carta Arche Acquarelle. Come descritto nell’articolo Vernici per stampe a getto di inchiostro su carta artistica è possibile recuperare contrasto e dmax di una stampa su carta acquarello “verniciando” la stampa con una qualche resina che restituisca brillanza ai colori e soprattutto al nero. A differenza delle resine descritte nell’articolo appena citato, quest’anno ho voluto provare l’albume o più banalmente il bianco d’uovo. È una vita che non stampo all’albumina, ma ho cercato di recuperare un po’ di ricordi cui ho aggiunto un pizzico di inventiva, visto che in questo caso l’albume è utilizzato come vernice e non come supporto.

Ecco la procedura per ricoprire le stampe all’albume. Per cominciare ho sbattuto un paio di albumi con un goccio di aceto, perché -come quando si fa la maionese- l’acidità rompe i legami polimerici dell’albumina che si “srotola” quindi più facilmente e permette di ottenere una mescola più fine e uniforme. Come al solito sbattendo le uova viene fuori un sacco di schiuma. Nella stampa al carbone l’aggiunta di alcool elimina le bollicine della gelatina, perché l’alcool modifica la tensione superficiale della soluzione, ma con l’albume non funziona per niente. Ho steso allora l’albume acido-alcoolico con un pennello, l’ho fatto un po’ asciugare, accelerando la cosa con un asciugacapelli. Non appena lo strato di resina quasi completamente secco, ho iniziato a lucidarlo a mano, semplicemente inumidendo i polpastrelli con un po’ d’acqua e lisciando la resina con le dita. Questo ha permesso di eliminare tutte le tracce di bolle appena menzionate, un bel vantaggio. Dopo qualche ora, una volta le stampe ben secche, le ho passate al forno in modo da indurire l’albume e fissarlo definitivamente. Il risultato non è male, ed è sicuramente una tecnica che vale la pena esplorare. Rispetto all’acrilico e al poliuretano si usano solo ingredienti naturali e molto economici; il fatto che l’albume sia solubile in acqua e che sia quindi possibile lucidare la resina è poi decisamente interessante.

Quest’anno, causa impegni vari, ho deciso di fare un’edizione di sole 9 stampe. Per non far torto a nessuno, visto anche che partecipano al pinholeswap molti amici e conoscendo, ho deciso di optare per la comoda funzione del sito che estrae automaticamente un certo numero di indirizzi dalla lista dei partecipanti. Mi scuso quindi con tutte le persone che mi hanno mandato una foto senza ricevere niente in cambio, ma i destinatari delle mie stampe all’albume quest’anno sono stati scelti unicamente dal fato.

Raimundo Civera
© Raimundo Civera
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Per quanto riguarda le fotografie stenopeiche ricevute, devo dire che il livello generale è decisamente cresciuto rispetto agli anni scorsi. in passato infatti avevo ricevuto qualche ottimo scatto, ma anche una montagna di fotografie di nanetti, alberi di natale e simili di nessunissimo interesse fotografico. Senza contare poi le classiche foto (purtroppo estremamente diffuse fra i principianti) di ciò che si vede guardando fuori dalla finestra della propria casa, foto che certo sono stenopeiche, ma non hanno assolutamente niente di più da raccontare. Quest’anno invece la maggior parte delle immagini sono portatrici di senso, vanno al di là della semplice tecnica stenopeica, sono belle e interessanti in quanto immagini, al di là di come sono state eseguite. Ho notato anche una cura in generale maggiore della qualità di stampa, anche se devo ammettere che qualcuno (si dice il peccato ma non il peccatore…) mi ha spedito una stampa con delle orride righe orizzontali dovute all’occlusione delle testine della stampante, roba che quando mi capita la stampa finisce direttamente nel cestino e non merita nemmeno il prezzo del francobollo per spedirla. Per fortuna si tratta di un caso isolato. In ogni caso, oltre alla stampa in sé, quest’anno anche la presentazione generale delle stampe mi è sembrata più curata rispetto agli anni precedenti, con delle belle carte e cartoncini a far da sfondo alle immagini, una scelta oculata dei materiali e anche delle buste.

In assoluto la mia fotografia preferita di quest’anno è una foto di un castello spagnolo scattata da Raimundo Civera. Bella l’immagine, dal formato panoramico molto allungato. Bella l’atmosfera sognante, quello che sembra un mare o uno specchio d’acqua liscio e uniforme, da cui emerge un’architettura dal sapore vagamente metafisico e misterioso. Bella poi la stampa, un cianotipo virato, direi con qualcosa che assomiglia ai miei viraggi neri, e bella l’idea di tagliare i bordi della foto come si faceva una volta, mi sembra quasi di tenere in mano certe fotine dei tempi del mio nonno. Insomma, ottima immagine in quanto tale e ottima stampa in quanto oggetto, grazie mille Raimundo!

Altre fotografie che meritano una menzione sono quella di Thomas Miller, se non altro perché l’esposizione dura sei mesi come si può vedere dalle tracce del sole nel cielo (e pure nel lago: bellissimo!), la fotografia anamorfica di Samuele Piccoli (con una tiratella di orecchie per la stampa, niente di indimenticabile), l’allegra confusione di Delio Ansovini, le macchine abbandonate di Jan kapoor e ugualmente le immagini di Daniele Pennati, Danilo Pedruzzi, Richard Holmes e Wolfram Shurman.

Ecco come ogni una galleria delle migliori fotografie del pinholeswap 2010 (© di ogni fotografo citato).

[See image gallery at www.co-mag.net] ]]>
/it/2010/pinholeswap-albume/feed/ 8
Follia e poesia, i ritratti stenopeici di gUi mohallem /it/2009/gui-mohallem-stenopeico/ /it/2009/gui-mohallem-stenopeico/#respond Sun, 18 Jan 2009 21:32:28 +0000 /?p=2623 Related posts:
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gUi mohallem
© gUi mohallem

“Quando ero un bambino di mia zia era abituata a portarmi a quei rituali.
Sono stato al centro di questo cerchio di candele
e queste donne hanno continuato a cantare
cose che non poteva capire.
Temo che abbiano fatto qualcosa su di me.”

gUi mohallem è un fotografo brasiliano i cui ritratti stenopeici sulla follia hanno catturato la mia attenzione fin dal primo momento che li ho visti.

Oltre alle fotografie scure, mosse e intense di gUi mohallem, ho molto apprezzato i testi di accompagnamento: citazioni raccolte durante le sue discussioni con le persone ritratte. Sono sempre stato affascinato dalla scrittura, oltre che dalla fotografia, e gli estratti che gUi mohallem associa alle immagini sono come lapidarie e intense poesie moderne, una poesia corale nata dalle persone che raccontano la loro verità di fronte alla macchina fotografica.

Fabiano Busdraghi: Come hai iniziato a fare fotografia? Qual’è la tua storia come fotografo?

gUi mohallem: Penso che avevo 17 anni quando ho avuto la mia prima macchina fotografica. Sono andato in Australia per un programma di scambio durante le scuole superiori. Questo è quando ho studiato per la prima volta i media di comunicazione e ho fatto un documentario sul programma di scambio. Quando sono tornato in Brasile, sono stato affascinato dalla cinematografia e ha deciso di candidarmi per la Film School di San Paulo.

gUi mohallem
© gUi mohallem

“A volte mi sento distaccato da me stesso
e vado avanti per giorni in questo modo, come se non fossi realmente me stesso.
Ecco quando ho bisogno di venire qui e guardare la gente.
Li guardo fino a quando sento di aver catturato la loro essenza.
(o ciò che ho deciso essere la loro essenza)
Questo è l’unico modo per tornare in me.”

La fotografia era già un hobby e avevo già iniziato a visitare gli studi e mini laboratori nella mia città natale. Mi ricordo quando ho visto per la prima volta un’immagine venire sulla carta bianca mentre ero dentro una delle ultime camere oscure della città. È stato magico! In questo momento ero già interessato alla distruzione delle immagini e volevo sperimentare tutti i tipi di sostanze chimiche disponibili sulla carta trattata, per vedere come potevano modificarla. Una volta che ho saputo controllare il procedimento che ho iniziato a scrivere sulle mie immagini per farne cartoline personalizzate per i miei amici e amanti.

La Fotografia è venuto a me mentre Università, a partire dall’anno successivo. Sono stato dipendente della camera oscura. E ho amato fare ogni tipo di prova, ed ogni tipo di errori. Ho anche amato il sapore delle sostanze chimiche sulle mani.

Mi sono laureato specializzandomi in cinematografia e fotografia. Volevo spendere un sacco di tempo supplementare in camera oscura. Sono stato così tanto lì dentro che ho avuto la chiave di scorta e l’autorizzazione ad utilizzare l’ingranditore speciale, un impeccabile Leitz.

 

Fabiano Busdraghi: Amo anche io l’odore della chimica e mi ricordo che la mia prima stampa è stato veramente magico come dici. Ancora oggi un briciolo di magia è ancora presente quando scatto o stampo, anche se in digitale. Ma andiamo avanti con la seconda domand: cos’è la fotografia per te?

gUi mohallem
© gUi mohallem

“Ero un bambino molto triste.
Come ho cresciuto ho imparato a ragionare
e dipinto diversi strati sulla tristezza.
Ma è ancora lì, sotto.
E penso che ci sarà sempre…”

gUi mohallem: La fotografia è il mio modo di cercare di tranquillizzare la mia più profonda solitudine, credo. Mi dà l’illusione di riuscire a comunicare con le persone, davvero. Non potrò mai sapere se è per davvero, ma questa illusione mi mantiene sano di mente.

L’altro giorno, poco tempo fa, mi trovavo nella metropolitana di New York e ho visto questa ragazza con l’hula hoop e sembrava così triste e stanca tenendolo in braccio. Ho scattato 3 immagini. Poi alcune persone sono ante a parlarle. Era la notte di Halloween. E si è scoperto che non era per niente triste e affatto stanca. Quando il treno è venuto ho cominciato a parlare con lei. Sono stato sorpreso da quanto di questa scena avevo costruito con la mia fantasia. Voleva vedere la foto, era preoccupata per la sua immagine e le ho risposto, senza pensarci: “Non ti preoccupare, non ho una foto tua, ho solo preso in prestito il tuo corpo per ritrarre i miei sentimenti.”

 

Fabiano Busdraghi: Sono d’accordo, la fotografia non mostra quasi mai la verità, ma solo i nostri sentimenti, le idee, e il punto di vista. Hai anche detto che la fotografia è un modo per minimizzare la tua solitudine. Come te penso che sia un meraviglioso mezzo per comunicare, per far sì che altre persone guardino dentro di te. Ma a volte penso che la fotografia aumenti la mia solitudine, a volte sono come uno schiavo della fotografia. Durante l’enorme quantità di tempo che passo all’interno della camera oscura, a ritoccare al computer, alla ricerca della perfetta combinazione per esprimere i miei sentimenti, o addirittura s scrivere questo blog, sono sempre solo. Tutto il tempo che dedico a tali attività è tempo sottratto alla mia vita sociale. Altre persone, al contrario, sono in grado di utilizzare la fotografia per interagire con agli altri, magari, come hai fatto con la ragazza della metropolitana. Cosa ne pensi?

gUi mohallem
© gUi mohallem

“Nella casa dei miei genitori abbiamo avuto un sacco di regole rigorose,
per esempio ci era consentito usare solo 4 quadrati di carta igienica alla volta.
Obbedivo chiaramente. Se mi chiedevano di farlo non potevo mentire.
Una ragazza cristiana non deve mentire.”

gUi mohallem: Non credo che funzioni per aumentare l’interazione. Lei non era a conoscenza di niente e non si era nemmeno accorta di me. Stavo interagendo solo con me stesso. E non sfuggo la solitudine. Allo stesso tempo, cerco di rimuoverla ma ne ho anche molto bisogno. Difficile da spiegare. Forse è per questo motivo che viaggio.

Rainer Maria Rilke una volta ha scritto:

…vi è una sola solitudine, ed è grande, pesante, difficile da sopportare, e quasi tutti hanno momenti la scambierebbero volentieri per qualsiasi tipo di socialità, banali o comunque a basso costo, per il più piccolo accordo con la prima persona che passa, il più indegno… Ma forse queste sono le ore durante le quali ci si sviluppa, la crescita è dolorosa come la crescita dei ragazzi e triste come l’inizio della primavera. Ma questo non deve confondervi. Che cosa è necessario, dopo tutto, è solo questo: la solitudine, la grande solitudine interiore. Per camminare dentro di te e incontrare nessuno per ore ed ore – che è ciò che si deve essere in grado di raggiungere. Per essere solitari come lo siete stati quando eravate bambini…

 

Fabiano Busdraghi: Come è nata l’idea di Reharsal to Madness? Ci puoi descrivere questo lavoro?

gUi mohallem
© gUi mohallem

“Ogni volta che sono solo
Ho sempre pronto il 911 sul mio cellulare.
Non si può mai sapere quelli chi sono
e quando ti attaccheranno.
Chiunque può essere uno psicopatico.”

gUi mohallem: Si tratta di una questione difficile. Perché non è nato da un unico sguardo. È venuto a poco a poco. Ho avuto questo titolo in testa per un po ‘di tempo (di solito i titoli vengono sempre prima), quando ho visto una delle mie zie avere uno sfogo. Tengo i miei titoli nelle annotazioni e tutto ad un tratto faccio qualcosa che si incastra correttamente. Di solito li titoli arrivano con uno o due anni di anticipo.

Questo ha aspettato 5 o 6 anni. Avevo già sperimentato con lo stenopeico digitale e il movimento quando ho incontrato Juan Betancurth, un artista colombiano, con sede a New York. Il primo giorno siamo andati a fare una passeggiata, abbiamo parlato per 7 ore e conversato di cose molto intime. Due giorni dopo siamo andati sul tetto del suo atelier e abbiamo fatto qualche bello scatto, anche se c’era veramente poca luce.

Continuo a fotografare le persone quando mi sento costretto a farlo, ma in un certo senso continuo ad ignorare la ragione che mi spinge a farlo. Fino al giorno che, parlando in un bar con Juan e il suo fidanzato, ho capito. Stavo fotografando queste persone per quello che mi avevano detto. Questo lavoro era a proposito anche di queste esperienze.

 

Fabiano Busdraghi: Questo è particolarmente interessante. Perché hai deciso di combinare insieme fotografia e parole? Quali sono le conseguenze di questa scelta?

gUi mohallem
© gUi mohallem

“C’è qualcosa dentro di me
che vuole uscire.
Non riesco a lasciarmi andare
Se lo facessi la mia vita sarebbe un casino…”

gUi mohallem: È stato naturale. È venuto fuori naturalmente dal lavoro, come ho capito che cosa mi fa venire voglia di ritrarre alcune persone e non altre.

Ma questo progetto ha attraversato diverse fasi di coscienzae, se posso dire così. In un primo momento, sono andato son solo il mio coraggio. E mi sono ricordato la citazione a memoria, perché erano i sentimenti che rimasti bloccati dentro di me. Poi, durante la fase di selezione di queste immagini, scegliendole e combinandole con le citazioni, lentamente ho capito che parlavo della mia follia. Proprio come la ragazza in metropolitana, stavo cancellando le immagini e parole di queste persone per parlare di me stesso, in qualche modo.

La follia qui assume un senso molto specifico. Considerando che uno la può usare come distanza, io la uso in un senso di prossimità. Folle è ciò che è simile.

Facendo nuovi lavori mi sono reso conto che era veramente una sfida. A quel punto sono tornato nella mia città natale e ho fotografato i miei genitori. Stavo spingendo i limiti. Quando ho fatto la mostra a New York ero ancora imbarazzato da certe immagini. Il lavoro stesso stava parlando verso di me, così ho passato un sacco di tempo ad ascoltarlo.

gUi mohallem
© gUi mohallem

“Sono andato in tribunale perché ho bruciato una vera agenzia di stato.
Ho rotto la finestra con un mattone.
Versato dentro la benzina, acceso il fuoco, e sono andato via.
Mi sentivo bene. Mi sentivo veramente bene.
Ricordo che quando tornai a casa ho sognato di uccidere un serpente …
e ho avuto sempre paura dei serpenti”.

Quando stavo preparando la mostra, la cosa più difficile è stata quella di decidere come mettere il testo con le immagini. Mi piaceva l’idea di chiedere allo spettatore una sorta di atteggiamento, un qualche tipo di domanda su ciò che è sta cercando. Inoltre, mi piace dare allo spettatore la possibilità di non vedere, se non vuole. Dal momento che queste citazioni sono molto intime non volevo che le prendessero per scontate. La gente dovrebbe vederle solo se si sentono connessi con la specifica immagine. Nel mio sito web, puoi vedere le citazioni solo se passi sopra le immagini col mouse, per esempio. Per la mostra a NY ho preparato una serie di timbri. Al fine di vedere le citazioni, la gente doveva timbrare se stessi, lasciarsi contaminare dalla follia.

E inoltre, era difficile vedere tutte le citazioni di tutte le immagini. La gente doveva quindi scegliere scegliere le immagini che erano spinti a studiare di più, per scoprire. Ero tutto pieno d’apprensione, ma la risposta è stata sorprendente. Le persone si timbravano dappertutto. Volevano sapere.

Nella discussione artistica che abbiamo avuto, Shawn Lyons, il gallerista che mi ha invitato per l’esposizione, mi ha convinto ad aprire le iscrizioni per il progetto. Le persone che vogliono essere raffigurate come una delle mie nuove follie possono firmare per un colloquio e una eventuale sessione di posa. Persone che sono venuti per la mostra, la gente che ha sentito parlarne da amici, nuove persone che ho incontrato, ho cominciato a ricevere tutte queste e-mail chiedendo di far parte del progetto.

gUi mohallem
© gUi mohallem

“La gran cosa dell’amnesia è che si può ripartire da zero.
Il tuo cervello è come un disco rigido vuoto in un computer.
A 16 anni ho capito che l’amnesia è l’opportunità della vita…
a buttare via i pezzi che non mi piacevano e costruirmi un nuovo ego,
qualcuno con cui potrei essere più soddisfatto… “”

Poi, ha raggiunto una fase in cui ho fatto foto di sconosciuti. Ho trascorso la settimana seguente intervistando e riprendendo questi perfetti stranieri cui ora mi sento così vicino. Su 8 o 9 persone che ho intervistato ce ne è stata una sola, che ho deciso di non fotografare. Poiché questa persona non mi ha lasciato arrivare abbastanza vicino.

Sono molto entusiasta di questo nuovo materiale. Ecco perché ho deciso di aprire le iscrizioni per il pubblico sul mio sito web. Chiunque abbia interesse a far parte del progetto può compilare un formulario molto semplice, e non importa da dove venga. Visto che viaggio abbastanza, la prossima volta che sarò da quelle parti, si potrà organizzare l’intervista. Le persone selezionate per partecipare al progetto riceveranno una stampa firmata della loro foto in un edizione unica. Questo è il modo che ho trovato per dire grazie.

La gioia che mi da questa esperienza è sconvolgente, è sorprendente. Voglio fare questo per un bel po’ di tempo ancora.

 

Fabiano Busdraghi: Spero che un giorno ci incontreremo e accetterai di farmi un ritratto! Questo è un buon esempio di come la fotografia può a volte farti interagire con gli altri e ridurre la solitudine!

gUi mohallem
© gUi mohallem

“Dopo avermi lasciato ho incontrato un ragazzo che ti assomigliava.
Siamo diventati amici.
Il mio amico è morto due settimane fa. Le onde lo hanno preso.
Ero così spaventata volevo scendere ma non l’ho fatto.
Ora sei tornato.
Questo è tutto: i pianeti devono essere allineati.”

gUi mohallem: Si potrebbe sicuramente fare. Prima si parla, poi la posa. La parte migliore per me è stare in giro con la persona. Perché mi dovresti portare nel tuo posto preferito, da qualche parte importante per te. In questo modo posso conoscere un mondo cui avrei mai potuto accedere altrimenti. Il mondo dell’altra persona. Ma questo non è dove finisce la solitudine. È difficile da spiegare. Ho la sensazione calmante quando si parla e sento che la persona è anche lei un po’ pazza. Allora non sono solo. C’è qualcuno là fuori un po ‘come me.

 

Fabiano Busdraghi: Tutte le foto della serie rehearsal to madness sono stenopeiche. Perché hai deciso di utilizzare il foro stenopeico per la tua serie di immagini? Cosa ti attrae in particolare di questa tecnica?

gUi mohallem: Non mi piace la nitidezza delle immagini digitali. Mi da fastido. Quando scatto in stenopeico, però, è molto più simile a ciò di cui faccio esperienza. È vicino alla mia realtà, se posso dire così.

Inoltre, c’è questa cosa divertente: così facendo, si elimina una cosa in più tra il soggetto rappresentato e la loro immagine. Le lenti. Non vi è l’aberrazione cromatica, distorsione otticai. Non vi è che luce, un buco e un CCD. Mi piace come qualche volta sia semplice e quasi un po’ stupido. Questo è uno dei motivi per cui ho fatto un tutorial stenopeico nel mio sito. La tecnica in sé non è una grande difficoltà.

Non mi piace il dettaglio delle immagini digitali. Mi da fastidio. Il foro stenopeico, però, è molto più vicino a quella che è la mia esperienza. È vicino alla mia realtà, se posso dire così.

 

Fabiano Busdraghi: La fotografia stenopeica sembra dare accesso ad un mondo di fantasia, stravolgere la percezione umana, riscrivere quella che è la realtà. Io credo, un po’ come dicevamo prima, che la fotografia in ogni caso non possa mai descrivere la verità in modo oggettivo. Sei d’accordo con questa idea? Oppure credi che la fotografia permetta anche di riprodurre fedelmente la realtà?

gUi mohallem
© gUi mohallem

“Non ho amici.
Tutta la storia dell’amicizia è una stronzata.
Si tratta solo di interesse.
meno ci si aspetta da parte della gente
meno delusioni finirai per avere.
fidati di quello che dico.”

gUi mohallem: L’unica realtà che puoi descrivere e la tua propria realtà. Questa è l’unica etica possibile in fotografia. Ti do la mia realtà in modo che tu ci possa costruire sopra la tua.

 

Fabiano Busdraghi: Monti i tuoi fori stenopeici su delle macchine fotografiche digitali. Si tratta di una questione di praticità, di rapidità nel verificare i risultati? Oppure è l’unico modo che ti permette di ottenere questo risultato, per esempio grazie alla possibilità offerta dal fotoritocco di gestire contrasto e cromia? O infine ti interessa particolarmente mischiare una tecnica veramente di base come lo stenpeico con gli ultimi ritrovati della tecnologia?

gUi mohallem: Beh, ad essere onesto, penso che sia una miscela di tutte e tre le opzioni. Ormai faccio tutti i miei editing in Photoshop, anche nel mio lavoro sulla pellicola, è molto ritoccato. In genere non uso digitale per il mio lavoro personale. Penso che mi piace aspettare. Mi piace che io non sappia mai come l’immagine verrà fuori. L’altro giorno stavo fotografando un amico per la copertina del suo CD e ho lavorato sia su pellicola che in digitale. Stessi obiettivi, stesse scene, ma le immagini su film hanno hanno un’emozione molto più forte. Sto ancora cercando di capire perché.

Con questo progetto, di solito tengo le immagini invisibili per un po’, dico alle persone che è cotto a fuoco lento.

Mi piace anche il modo in cui il grano in queste immagini sia molto digitale. La fotocamera è agli iso più alti quindi ci sono un sacco di artefatti. In Photoshop li controllo e talvolta li alleggerisco un po ‘. Ma c’è addirittura un po’ di sporcizia che lascio li. Mi piacciono alcune delle imperfezioni, è come la vita stessa.

gUi mohallem
© gUi mohallem

“Amo il profumo del mio amante.
Può stare giorni senza un bagno e non mi dispiacerebbe.
In realtà mi sento mezza triste quando si fa la doccia”.

Il digitale è grande anche perché mi permette di prendere un sacco di foto in una sequenza di ogni persona. È un processo molto catartico per entrambi. So che foto userò solo dopo avere le loro citazioni. Questo può richiedere fino ad alcuni mesi.

 

Fabiano Busdraghi: Insegni fotografia stenopeica per delle associazioni di supporto dei più poveri in Brasile. Ci puoi raccontare quanto è importante l’insegnamento per te? In qualche caso la fotografia ha cambiato al vita di queste persone?

gUi mohallem: Ho insegnato per circa 4 anni. Mi piace da matti. Ho insegnato cinematografia, elettronica e fotografia a questi bambini, in modo che possano entrare nell’industria cinematografica brasiliana (piuttosto tipo televisione e spot pubblicitari). Ma ciò che stavo insegnando mi importa davvero. È stato solo un pretesto per stimolare questi bambini a pensare loro stessi, per costruire il proprio apprendimento, per farsi la propria strada. Lo stenopeico è stato il primo soggetto. Per prima cosa abbiamo trasformato la classe in un enorme camera obscura per capirla dal di dentro. “Così è come la macchina fotografica e l’occhio lavorano” e poi li ho introdotti alla carta fotografica, la sperimentazione dei prodotti chimici, facendo tutti i possibili errori, in modo di costruire in questi ragazzi la passione per il test, e l’apprendimento che parte dalla valutazione delle prove.

Dopo due settimane di stenopeico e camera oscura e li aiutavo solo a distanza per trovare le domande giuste, e non le risposte giuste. La cosa grandiosa dello stenopeico è che ogni macchina è unica. Ha il suo buco, la sua distanza dalla carta e ogni studente deve fotografare tenendo presente tutti questi particolari. Non hanno potuto imparare da nessun altro, se non dalle loro prove. È stata una grande gioia ottenere la loro prima immagine. Visto che non avevano nessuno da ringraziare ad eccezione di se stessi e della loro perseveranza.

gUi mohallem
© gUi mohallem

“Non capisco perché le persone insistono sul dolore.
Andare ai cimiteri, visitare le tombe…
Perché mettersi in questo stato miserevole?
Fare credere che stanno viaggiando.
Questo è quello che faccio”.

Una volta capito come funziona la fotografia stenopeica è stato facile cominciare a parlare di luce e dei suoi principi, l’occhio, la macchina, qualunque cosa. Ma la cosa più importante di tutto questo è che ormai avevano capito che erano alla ricerca di domande, non risposte.

Se vuoi sapere se sono diventati grandi fotografi, non saprei. So che ce ne sono uno o due cche ho beccato su flickr. Ma molti di loro ha cominciato a comprendere la propria vita e sono cresciuti professionalmente tanto da essere indipendente da qualsiasi insegnante o i datori di lavoro in cui possono essere incappati. Ho sentito dire che due di loro hanno guadagnato abbastanza soldi da potersi comprare una macchina ormai.

 

Fabiano Busdraghi: Vivi in Brasile, ma hai viaggiato anche a New York e in diversi altri posti. Qual’è la conseguenza del viaggiare sul tuo lavoro fotografico?

gUi mohallem: Viaggiare mi spinge lontano della mia zona, i miei amici, la mia famiglia, il mio lavoro, e in aggiunta di solito mi metto in situazioni difficili. Di solito mi fermo a casa di uno sconosciuto. Non pianifico nulla. Non so mai dove andrò a dormire, per esempio. Ho anche sempre di viaggio da solo. Credo che sia una ricerca di solitudine.

Quando sono in viaggio mi sento più connesso con me stesso, è come un esilio.

 

Fabiano Busdraghi: Qual’è la situazione fotografica in Brasile? Le manifestazioni, le mostre, gli eventi legati alla fotografia sono numerosi e seguiti? La vita culturale è attiva e interessante?

gUi mohallem
© gUi mohallem

“Sono così normale. Tutto ciò che faccio è così normale,
Ci penso così tanto prima di farlo…
Anche quando mi drogo o dormo con un estraneo
è molto normale, lo sai,
talmente inquadrato nei confini della normalità … “

gUi mohallem: San Paolo è come qualsiasi altro grande centro. C’è così tanto da fare allo stesso tempo che è difficile decidere dove andare, e devi fare delle scelte. Devo confessare che non frequento molto le mostre, soprattutto perché di solito sono molto concentrato sul montaggio della mia roba o sulla finitura di un progetto, lascio appena il mio studio. Devo dire che avrei da fare alcune ricerche per rispondere a questa domanda correttamente.

 

Fabiano Busdraghi: Credi che per avere una buona carriera fotografica si debba vivere a Londra o new York o oggi grazie ad Internet il posto in cui si vive non conta poi così tanto?

gUi mohallem: Mi piace internet e mi piacciono le sue possibilità di connessione. Ho trovato lavori e persone veramente sorprendenti grazie a siti e blog come il tuo. Ma penso anche che niente possa sostituire l’esperienza reale. Mi piace essere in luogo ed incontrare la gente. Mi piace vedere come il lavoro viene montato e presentato. Vedendo le opere di altre persone, le buone opere, è una cosa importante per la tua evoluzione d’artista. A volte i libri possono darti una idea abbastanza buona, ma prendi le opere di Sophie Calle o Gregory Crewdson, per esempio. Perdono tantisimo nei libri. Per avere una buona carriera, ritengo altresì che sia importante incontrare la gente. Per stabilire la connessione, per vedere le facce dietro i nomi, sai. Pertanto, ritengo che per me è importante avere accesso a grandi centri, non necessariamente però abitarci

 

Fabiano Busdraghi: Per quanto riguarda la fotografia e più in generale l’arte, credi che ci siano differenze fondamentali fra il Brasile, l’Euroa e gli stati uniti? Oppure oggi si può solo parlare di un’unica fotografia globale e le differenze sono unicamente dovute alla ricerca individuale e alla personalità degli autori?

gUi mohallem
© gUi mohallem

“L’abbiamo fatto una sola volta. Lui era così gentile, così dolce…
Ma non so cosa è successo
mi evitara da allora…
Penso che semplicemente non può gestire i suoi sentimenti.
Ma so che lui mi ama.
Sì che mi ama “.

gUi mohallem: Beh, forse io non sono la persona giusta per rispondere.Non sono uno storico e mi riferisco all’arte, in termini di continenti e paesi. Guardo dalla prospettiva di un artista, alla ricerca di artisti e opere che comunicano con me. Ci possono essere differenze, ma non saprei come discuterne, perché non ci ho badato.

 

Fabiano Busdraghi: La diffusione del tuo lavoro è fatta dalle gallerie, mostre, pubblicazioni cartacee etc o è affidata soprattutto ai circuiti artistici su internet? Cosa pensi di queste iniziative?

gUi mohallem: Tutti hanno il loro posto nel mondo e non sono in concorrenza, a mio avviso. Un buon gallerista può essere come un tutore per l’artista, aiutare a trovare vie e modi all’interno del suo lavoro, credo che questo sia un ruolo molto importante, specialmente per i giovani artisti, ma a volte anche in alcuni casi anche quelli più affermati. L’altra cosa importante che una galleria potrebbe o dovrebbe fornire l’artista è trattare la parte commerciale, la promozione, la vendita, seguendo i consumatori. Questa è una parte importante del gioco e l’artista di solito o non è capce o non è interessato a giocare.

Per quanto riguarda lo scambio, a mio avviso Internet è una grande cosa. Perché non si sa mai quello in cosa si potrebbe incappare. Per esempio ho trovato un artista georgiano che vive in Argentina, su Flickr e questa è una grande cosa che solo i circuiti più democratici come Internet possono darti.

 

Fabiano Busdraghi: Quali sono i tuoi siti preferiti di fotografia e di arte? Leggi qualche e-zine, blog o rivista online di fotografia?

gUi mohallem
© gUi mohallem

“Ho fatto delle stupide cose su me stesso.
Ecco perché mi hanno chiuso dentro”.

gUi mohallem: Non sono proprio adatto a rispondere. Amo le riviste stampate, come Aperture, ma non sono abituato a seguire nessun on e-zines. Però faccio un sacco di ricerca su flickr…

 

Fabiano Busdraghi: Hai qualche sogno fotografico? Qualcosa che vorresti fotografare e non puoi, una macchian fotografica che sogni di avere, un posto dove vorresti andare…

gUi mohallem: Il mio sogno è di vivere del mio lavoro, di poter vivere grazie alle foto che faccio.

 

Fabiano Busdraghi: Puoi parlarci del tuo fotografo preferito che usa il foro stenopeico? Perché ami il suo lavoro?

gUi mohallem: È una cosa buffa. Io non sono di solito un tipo da foro stenopeico. Non seguo o cerco chi lo usa. Ma c’è un tipo in Brasile idi cui ho scoperto per caso il lavoro (è un amico di un amico) e mi piace da matti. Il suo nome è Luish Coelho e ha molto interessanti progetti di trasformare gli appartamenti delle persone in macchine fotografiche, fotografando la persona con la proiezione del paesaggio nei loro appartamenti. Meta-meta-fotografia. È un maestro nel pinhole, è appassionato e sa tutto sul foro. Ma non è lo stenopeico in sé che mi attira. È lo stesso motivo che mi ha condotto ai film di Charlie Kauffman come Adaptation, o Synecdoche, NY. È la semplicità dell’idea e la complessità del risultato.

 

Fabiano Busdraghi: Qualche altro fotografo brasiliano che ti piace particolarmente?

gUi mohallem: Ci sono un sacco di grandi fotografi in Brasile che io ammiro per svariate ragioni… Amo il modo in cui Dimitri Lee scatta i suoi lunatici paesaggi di città abbandonate, per esempio. E mi piace l’intimità e il rispetto che mostra Wainer João delle persone che vivono nelle baraccopoli e del loro universo. Ha anche fatto un lavoro incredibile, molto difficile da trovare, da un’enorme prigione, pure questa in Brasile.

gUi mohallem
© gUi mohallem

“Non credo nella morte.
Non riesco ad avvicinarmici col pensiero.
Non importa quello che dicono, nessuno morirà.
Semplicemente, non credo nella morte come una possibilità.”

Ma al tempo stesso, e so che può sembrare pretenzioso, ho spesso avuto l’impressione di camminare su una lunga strada con davanti nessuno, nessuno a cui guardare. Questi incredibili fotografi di cui ammiro il lavoro sono molto diversi da me, come se parlassero delle lingue diverse dalla mia. Nel mio ultimo viaggio a New York, ho incontrato una fotografa inglese, Muzi Quawson e smi sono innamorato del suo lavoro. È come per la prima volta da anni che vedo qualcuno che parla la stessa lingua che cerco di parlare, o meglio, qualcuno che è fluente in una lingua che sto ancora sviluppando.

 

Fabiano Busdraghi: Qualche questione sui tuoi gusti personali. Quali sono i tuoi film, libri e musica preferita?

gUi mohallem: È sempre dura fare una classifica, perché dipende molto dal momento e dal posto in cui ti trovi.Ma adoro “una giornata particolare” di Ettore Scolla. Questo film ha cambiato il mio modo di inquadrare. L’ho visto al teatro venerdì sera. Il mattino seguente stavo prendendo un 35mm. Ne avevo bisogno.

Anche un realizzatore indipendente ha avuto molta influenza sul mio lavoro. Il suo nome è Jonathan Caouette e ha fatto un documentario autobiografico veramente forte che si intitola “Tarnation”.

Esteticamente adoro le composizioni e i patterni di Won Kar Waie lo stesso vale per Wim Wenders, Amo il modo in cui usa i colori, specialmente Paris Texas.

Alcuni dei miei scrittori preferiti sono Gabriel Garcia Marquez, Miranda July, Vladimir Nabokov, Dostoyevsky, Sam Shepard e Sartre.

Difficile dire per quanto riguarda la musica.

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Pinholeswap 2009: scambio di foto stenopeiche e zoneplate /it/2009/pinholeswap-zoneplate/ /it/2009/pinholeswap-zoneplate/#comments Wed, 14 Jan 2009 13:38:00 +0000 /?p=852 Related posts:
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Buste pinholeswap 2009
Le buste delle fotografie stenopeiche ricevute durante il pinholeswap 2009.

Come l’anno scorso ho preso parte al Pinholeswap 2009, uno scambio di fotografie ottenute rigorosamente senza lente, quindi in generale fotografie stenopeiche o zoneplate.

Quest’anno ho spedito una foto stenopeica scattata appositamente per l’occasione al Jardin de Luxembourg. Volevo una resa sognante e pittorialista, che ricordasse vagamente la pittura impressionista di inizio secolo, come se inviassi un piccolo quadretto invece che una fotografia. Una fotografia dove non ci fosse niente, solo spazio vuoto e una leggera malinconia. Una malinconia appena accennata, niente tristezza o disperazione, solo una bolla di vuoto vagamente doloroso.. Una fotografia che rappresenti l’attesa senza fine, le speranze sempre deluse di chi si sogna il futuro dicendo che qualcosa cambierà, ma finisce per aspettare tutta la vita. Un’attesa che è un vivere d’illusioni, il titolo della foto.

Il giorno dello scatto era nuvoloso e molto grigio, quindi ho ravvivato contrasto e colori in fase di sviluppo del file. Per aumentare l’effetto pittorico ho stampato su carta Rives BFK, una carta texturata e porosa, di solito utilizzata per litografie o altre tecniche di incisione, stampando sul retro, perché mi piaceva la trama del feltro su cui è stata fatta seccare la carta. Doppia stampa, una normale e un’altra per rinforzare le ombre, come mi è stato gentilmente suggerito nei commenti dell’articolo Vernici per stampe a getto di inchiostro su carta artistica. Per saturare i neri e rendere la foto brillante ho verniciato la stampa con una base per pittura acrilica (si veda l’articolo appena citato per i dettagli): due mani leggere e diluite per far tornare l’inchiostro in superficie, seguita da una mano spessa e densa, necessaria solo per rendere la superficie della stampa tridimensionale e lasciare delle evidenti traccie di pennello, come se si trattasse appunto di un quadro e non di una foto. Il tutto in 20 esemplari -più una prova d’artista- naturalmente firmati e numerati.

Vivere d'illusioni
Vivere d’illusioni, 2008.
Stampa ai pigmenti e resina acrilica su carta Rives BFK. Edizione di 20 esemplari e una prova d’artista. Dimensioni: 10x15cm.

Come l’anno scorso una discreta cura è stata messa nella preparazione della busta. Visto che si tratta di uno scambio di fotografie per posta personalmente considero l’involucro della lettera importante quasi quanto la stampa. Sul retro della busta ho quindi stampato in grande gli anelli concentrici di uno zoneplate, al cui centro ho messo un mio vecchi ritratto, che è l’avatar che uso spesso su internet. Oltre ad alcune succinte informazioni sulla stampa ho aggiunto un chengyu, uno dei numerosissimi modi di dire cinesi costituiti unicamente da quattro sinogrammi, utilizzati per definire in maniera molto condensata una situazione precisa e un’antica storia o leggenda. In questo caso 望梅止渴 letteralmente significa “contemplare-prugne-fermare-sete” e la storia che l’ha fatto diventare un modo di dire noto e diffuso è la seguente. Si racconta che un giorno Caocao, uno dei grandi generali dell’epoca dei Tre Regni, stava conducendo i suoi soldati verso una battaglia. Questi erano terribilmente assetati perché da molto tempo non avevano trovato nemmeno un punto per rifornirsi d’acqua. Caocao allora ebbe un’idea. Indicando un bosco lontano all’orizzonte disse: “Laggiù ci sono molti alberi di prugne, mangiandole potrete spegnere la vostra sete”. I soldati si misero a pensare al delizioso gusto acidulo delle prugne, la bocca di tutti si riempì di saliva e dimenticarono così la loro sete, riprendendo la marcia. Poco dopo trovarono finalmente un posto dove rifornirsi d’acqua. Oggi questa espressione si usa quando si vuole dire “la speranza fa vivere” o “mentire a se stessi per consolarsi” o ancora “nutrirsi di illusioni”, che è appunto il titolo della foto che ho spedito per il pinholeswap di quest’anno.

Anche quest’anno è stato un piacere trovare quasi ogni giorno una lettera nuova nella casella della posta, che in genere contiene solo pubblicità o l’estratto conto della banca. Come l’anno scorso pubblicherò una mini galleria con le fotografie che più mi sono piaciute, cogliendo l’occasione per ringraziare tutte le persone che mi hanno spedito una loro fotografia stenopeica.

Busta Busdraghi
Busta utilizzata per l’invio di “Vivere d’illusioni”.

Ho molto apprezzato la foto di Danilo Gamberini, che sembra una cartolina del secolo scorso, come lo scatto di Mary e Delio Ansovini, con questo sentiero lastricato che serpeggia verso l’infinito, che mi fa pensare alle favole o ad Alice nel paese delle meraviglie. Molto belli anche gli scatti multipli che si fondono uno nell’altro di Ingo Guenther e Jan Kapoor, perfettamente confusi e caotici. Appena ho aperto la lettera di Thomas W. Miller e visto le classiche bande nel cielo come nelle foto di Michael Weseley, ho immediatamente capito che si trattava di un’esposizione lunghissima, ed effettivamente sono stati necessari 6 lunghi mesi d’esposizione per ottenere questa foto! È il caso di dirlo, bisogna stare attenti a non cannare l’esposizione, perché se si deve ricominciare ti cascan veramente le braccia… La melanzana di Antonio Amico mi piace veramente tanto; purtroppo la stampa per i miei gusti è stata troppo sottoesposta, bastava allungare un po’ l’esposizione per ottenere avere i neri della foto scuri come quelli del bordo e ottenere un minimo di dettaglio nelle luci che invece sono bruciate. Peccato, perché altrimenti avrebbe potuto concorrere per il primo posto delle foto del 2009. Belli infine anche gli alberi di Pierre-Olivier Boulant e l’infrarosso colorato a mano (con Photoshop) di Richard Holmes.

Per quanto riguarda la foto in assoluto preferita, quest’anno ho scelto tre immagini a pari merito. Mi piacciono molto i colori della polaroid stenopeica di Erin Malone, nonché la semplicità e essenzialità della fotografia. Pochi elementi, solo un campo che sfuma verso l’orizzonte, ma carico di emozioni e esteticamente molto piacevole. Bellissima la foto di Peter Wiklund, a partire dall’uso creativo delle deformazioni rese possibili dalla flessione della carta dentro alle macchine stenopeiche, passando per la superficie sporca e macchiata e arrivando a questo fantasma che cammina chissà dove. Anche il titolo “uomo morto che cammina”, mi fa ghignare. Il pinholeswap è in occasione del Natale, e molte persone mandano fotografie dell’albero, dei regali, delle stelline o dei nanetti del giardino, accompagnate dai soliti auguri natalizi. Personalmente sono sempre stato rattristito dal Natale (e non sono il solo, addirittura ogni anno i suicidi hanno un picco proprio sul 25 dicembre), e questo è uno dei motivi per cui ho scelto il soggetto e il titolo della mia foto. L’ultima immagine infine ad ottenere il primo posto pari merito è il mare di Daniele Pennati. Conoscevo già da qualche anno la sua serie stenopeica di spiagge, scogliere, mare e cielo nuvoloso, di cui ho sempre ammirato la sfocatura e i colori. È stata veramente una bella sorpresa ricevere una di queste fotografie, fra l’altro stampata decentemente, cosa che non si può dire di tutte le immagini ricevute.

Ancora grazie a tutti e appuntamento al prossimo anno.

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Pinholeswap 2008: scambiare foto stenopeiche /it/2008/pinholeswap-foto-stenopeiche/ /it/2008/pinholeswap-foto-stenopeiche/#respond Fri, 18 Jan 2008 12:29:33 +0000 /?p=2903 Related posts:
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Pinhole swap 2008
Alcune delle buste ricevute durante l’annuale scambio di fotografie stenopeiche.

Dal 2001, alcuni appassionati di fotografia stenopeica hanno messo in piedi il Pinhole Cards Exchange, ovvero uno scambio di fotografie stenopeiche o più in generale di fotografie realizzate senza lente (quindi anche zoneplate, fessure, multifori, etc) in occasione dell’anno nuovo. In pratica gli iscritti aggiungono il proprio indirizzo ad una lista, si possono spedire per posta una o decine di stampe, gratis e senza impegno alcuno se non la regola che la foto deve esser stata ottenuta senza l’uso di una lente.

Nel Natale e degli auguri non me ne frega molto, ma ho partecipato volentieri, e devo dire che è simpatico ricevere quasi una lettera al giorno, quando ormai tutto passa per la mail e nella casella delle lettere passano solo pubblicità e comunicazioni della banca. Senza parlare poi del piacere delle buste tutte diverse, la carta da lettera e quella da stampa mai uguali.

Da parte mia ho inviato una foto scattata nel 2005, un autoritratto fatto con una scatola di cartone, foro fatto con uno spillo in una lattina di birra, negativo su carta ilford 13x18cm. L’ho rifotografato in controluce, perché non ho un buono scanner, ne ho fatto un negativo digitale e l’ho stampato in cianotipo su carta Bristol 9x11cm, con un seguente viraggio al the. Un’edizione di 25 esemplari e due prove d’artista, firmata e numerata. Il viraggio è uno dei più riusciti degli ultimi tempi, finalmente sono riuscito ad avere dei neri molto profondi, quasi neri appunto, e non i classici blu dei cianotipi. Le alte luci sono state tinte dal the di un caldo giallo rossiccio, che trovo molto piacevole.

Delle foto che ho ricevuto pubblico qui una selezione delle mie preferite. Al primo posto va quella di Eric Mitchell, bella l’immagine e stupenda la stampa su carta Foma FB base. La stampa più bella è certamente quella di Ingo Guenther, una fantastica photogravure su una bellissima carta texturata, dei neri profondissimi e dal classico bell’aspetto di inchiostro, un grano molto gradevole. Fra le stampe particolari va citato il cianotipo di Earl Johnson, perfettamente realizzato e con un grano e una materia molto interessante, peccato la macchia nel cielo. La doppia esposizione di Adrien Arles la trovo riuscitissima, visto che le due immagini si fondo perfettamente fra loro, quasi fossero una. Fra l’altro in questo momento apprezzo in maniera particolare le foto panoramiche, quindi non posso che esser contento di averne ricevute. Della curiosa foto rotonda di Matt Neima infine apprezzo in particolare la resa morbida e delicata delle tinte pastello.

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